DECALAMUS  "DeCalamus"
   (2017 )

Dopo anni di intensa attività dal vivo e di una spiccata sintonia di gruppo, l’ensemble dei DeCalamus decide di debuttare con un album in studio: si tratta di un lavoro omonimo che, in dieci tracce rispolvera brani della tradizione della Valle del Comino (in provincia di Frosinone e a ridosso del Parco Nazionale dell’Abruzzo, Lazio e Molise) e brani inediti che affondano le radici proprio su questa terra. Maura Amata (voce), Serena Pagnani (voce e chitarra), Marc Iaconelli (fisarmonica e zampogna), Massimo Antonelli (zampogna zoppa, ciaramelle, ocarina e voce), Francesco Loffredi (organetto), Luca Lombardi (flauto e ottavino), Laura Fabriani (tamburi a cornice), Francesco Manna (tamburi e percussioni mediterranee) e Alessandro del Signore (contrabbasso) danno vita ad un lavoro sanguigno, puro, genuino, capace di far riscoprire il valore di tradizioni che si stanno perdendo nella frenesia di una modernità priva di regole e di morale. Il lavoro dei DeCalamus è un modo per cristallizzare e fermare il tempo, guardare l’autenticità delle cose, riscoprire i valori della propria terra, interiorizzarli e tramandarli affinché non vengano mai perduti. L’opening track strumentale è proprio questo invito a fermarsi, a chiudere gli occhi e respirare un’aria nuova, pura, diversa: “Vento By Calamus” parte in sordina, quasi a voler invitare tutti all’ascolto attento per dare spazio a sonorità ipnotiche, festanti e danzerecce. Ottavino, zampogne, cembali e tamburelli scandiscono i tempi, e i suoni della tradizione prendono per mano l’ascoltatore e lo portano lungo i sentieri della Valle del Comino. “Danza Dell’Albero Di Maggio” si snoda su atmosfere di danza popolare, con sonorità festanti e in dialetto, rievocazione di una lingua desueta ma sempre affascinante. L’alternanza di cori tra cembali, fisarmonica e ottavino riporta alla riscoperta dell’essenzialità della musica tradizionale e crea una sensazione di gioia e spensieratezza. Il ricordo di un mestiere perduto nell’epoca di un consumismo sfrenato e di una società che quando cambia non sempre cambia in meglio è “Gli Arretine” (L’Arrotino). Anche qui, l’alternanza di cori e le sonorità folkloristiche rimandano in maniera malinconica (a dispetto dell’allegria che il brano trasmette) alla figura ormai scomparsa di questo arrotino che pedala a cento all’ora, sprizzando fuoco mentre arrota i suoi coltelli e coltellini, mentre “Seta E Malizia” si tinge di colori più moderni sia nelle sonorità sia nel cantato in italiano, pur mantenendo fede a sonorità più tradizionali. “Glie Brigande”, con le sue zampogne ipnotiche che si uniscono ai cembali, al flauto e all’ottavino e con le sue ritmiche cadenzate, riporta l’attenzione nuovamente al passato. Una malinconica fisarmonica introduce “Donna” e il canto sembra quasi un lamento. La tradizione non è solo festa ma anche protesta verso condizioni di disagio e di ingiustizia di cui erano colpiti i ceti più deboli e le donne in particolare, e la voce di Maura Amata esalta il brano con la sua spiccata capacità di immergersi in questa atmosfera, quasi a renderla palpabile e visibile. “Omaggio A Montemarano” riporta l’atmosfere su dimensioni più sbarazzine, in un clima paesano e festaiolo, mentre in “Est, Nord E Sud, Marcia Dei Zampognari” la dimensione sonora si fa più raccolta, almeno inizialmente, per poi liberarsi nella gioiosa danza creata dalle zampogne e dai flauti con le percussioni. “L’Asieateca Di Alvito”, con la voce di Massimo Antonelli e i cori di Maura Amata e Serena Pagnani, è un canto che assume dimensioni teatrali, e porta dritto alla chiusura del disco con “Canti Alla Stesa E Ballarella Piciniscana”. Questo è il brano più lungo di tutto il lavoro (poco più di otto minuti) che sintetizza nelle sue dimensioni espressive tutto le sonorità già vissute nell’intero disco. Le zampogne introducono i canti a cori alterni in dialetto, in una sapiente fusione che colpisce l’ascoltatore e lo rapisce con le sue atmosfere danzanti e di festa paesana. Nel complesso, il lavoro dell’ensemble dei “DeCalamus” è un viaggio nella memoria e in luoghi incontaminati. Un lavoro che fa respirare un clima ormai perduto ma che resta vivo come un tizzone ardente sotto la cenere, emblema di un mondo mai scomparso nel cuore di chi vive la tradizione. Una tradizione che si tramanda di orecchio in orecchio e di bocca in bocca e si spinge fino a colpire le dimensioni più intime dell’animo. I DeCalamus, con questo debutto in studio, hanno sapientemente toccato delle corde emotive che da tempo fremevano per tornare a vibrare. (Angelo Torre)