EDOARDO PASTEUR  "Dangerous man"
   (2017 )

C'è un legame tra musica e sport. Gli sportivi sanno benissimo l'importanza fondamentale dei lunghi allenamenti, per poi prudurre una performance che può durare relativamente pochi minuti. Esattamente così come i musicisti devono accumulare ore e ore di prove, per suonare bene in un concerto anche di una sola serata. Edoardo Pasteur, ex maratoneta, ha deciso di continuare la sua avventurosa vita nella musica, avvalendosi di professionisti per formare la sua band Rolling Dice. Appassionato del rock d'autore americano e canadese, è arrivato a pubblicare "Dangerous man", album contenente tredici canzoni dal sapore USA, con chitarra elettrica pulita, organo hammond quasi sempre presente, un andazzo genericamente blues e, probabilmente, con i Dire Straits nel cuore. Oltre a Leonard Cohen... Le canzoni sono tutte racconti, infatti spesso si distinguono a fatica i ritornelli poiché le narrazioni proseguono lineari. "Big fish" già dal titolo fa capire che è ispirato all'omonimo film di Tim Burton, ed è raccontato in prima persona dal protagonista: "Hey, don't you know my name is Edward Bloom?". "Dangerous men" invece è una dedica ai liberi pensatori, considerati uomini pericolosi dalla società omologata: "Stay away, he's a dangerous man, stay away, he's a dreamer". "Princess" esce un po' da questo clima americano ed è una ballata fiabesca, con tanto di cornamusa, che sembra però essere un suono di tastiera, così come lo sembra la viola udita in "Fire". Forse si poteva fare uno sforzo in più e chiamare degli ospiti per queste parti, parola di... tastierista. Sulle scelte timbriche migliorabili, però, si può chiudere un occhio, prestando invece attenzione ai testi, carichi di citazioni letterarie e cinematografiche, come visto sopra. Non manca anche un occhio alla situazione attuale: "Brothers" è una dedica alle vittime dell'attentato terroristico al Bataclan. Il ritornello di "Let it rain" è enfatizzato da un coro femminile, creando una situazione che fa eco alla grande esibizione dal vivo dei Pink Floyd "Pulse" del 1994. "Come sit by my fire" ha un ritmo più delicato, e le parole si fanno più intimistiche: "Can you hear me? Can you feel me? (...) Can you touch me? (...)". "I got a name" è un bel blues rock carico di convinzione nel cantato, e cita pure la celebre frase finale di ''Via col vento'': "Francamente, me ne infischio". L'album è chiuso da "Child of the storm", una poesia recitata da Edoardo e cantata da Elenina Barberis, dando così vita ad un'interpretazione calda ed emozionante. L'arrangiamento presenta degli elementi più curiosi, con l'aggiunta di suoni elettronici nella sezione ritmica, che completano la canzone senza sconvolgere il clima generale soul. Pasteur si presenta, quindi, come un grande appassionato di cultura d'oltreoceano, e un miglioramento della pronuncia inglese potrebbe giovare ad entrare ancora meglio nella parte del songwriter americano/canadese. (Gilberto Ongaro)