WIRE  "Silver/Lead"
   (2017 )

Ancora per la Pink Flag record, etichetta nata per volontà della storica band, tornano i Wire, e quando lo fanno (con una certa frequenza, ammettiamolo) non è mai un disco da sottovalutare o snobbare. Se esiste una band che si può considerare la più importante di quel panorama post punk, nato dalle ceneri di tutto ciò che musicalmente accadde dopo il 1977, beh direi che sono proprio i Wire. Si parte bene e a questo giro lo si fa (questa è una piacevole novità, invece) dalla copertina disegnata da Graham Lewis: su uno sfondo nero, sottili filamenti bianchi si intrecciano in maniera caotica in un quadro astratto che ci ruba gli occhi e ci porta dentro il tunnel della loro musica. Molto semplice, molto ben fatto, molto azzeccato. “Playing harp for the fishes” apre il nuovo lavoro e la voce di Graham Lewis è magnificamente anticipata da dolci chitarre elettriche, da linee di basso avviluppanti e da tastiere, queste ultime piacevoli e non proprio scontate per il suono Wire. “Short elevated period” ci porta la canzone più aggressiva di “Silver/lead”; anche se le corde elettriche sono leggermente addolcite dai tasti, la canzone pare essere figlia dell’album “Send”, album in cui gli inglesi dettero sfogo a tutta la loro rabbia. Con “Diamonds in cups” i Wire raggiungono l’apice del loro suono sintetico. La voce di Colin Newman si appoggia ai sintetizzatori per una canzone che neppure i Depeche Mode sono più in grado di scrivere. “Forever & a day” e “This time” ci riportano il cantato più caldo e melodico di Lewis, mentre “An alibi” (il post punk che diventa dolcezza) e “Sonic lens” (arpeggi di chitarra e basso elettrico per un alienante refrain musicale) sono brani che mettono in risalto il versante più pop del gruppo. “Brio” (la più crepuscolare), “Sleep on the wing” (sognante) e la canzone che titola questo nuovo lavoro chiudono l’ennesima fatica discografica, mantenendo inalterato il clima delle tracce precedenti. Ancora un disco ben fatto per i signori indiscussi del post punk. E chiamiamolo così anche quando i quattro inglesi fanno amicizia con i synth. Perché, se il sodalizio funziona, come in questo caso, la cosa più importante rimane la qualità e non le etichette del recensore di turno. Wire 2017? Ancora pollice alto. (Gianmario Mattacheo)