ARDAN "Voyage d'un seule nuit"
(2017 )
Esordire con un concept album è sempre impresa ardita, e ci provano gli Ardàn con il racconto di un viaggio nello spazio, che dura una sola notte: "Voyage d'un seule nuit" è un Lp che spazia - è proprio il caso di usare il verbo spaziare - tra pop, alternative rock e ambient da colonna sonora. Oltre a canzoni cantate, l'album contiene svariate tracce strumentali ed è ricchissimo di suggestioni. Pronti? 5, 4, 3, 2, 1, ignition: l'Lp apre con "Mayday", dove ci viene presentato un carillon sopra rumori ambientali di una corsa affannosa giù per le scale, poi il corno di una sigla televisiva ci introduce la voce narrante di un cronista; ed ecco che parte "The dreamer", dove il protagonista di quest'avventura si accorge, con sua sorpresa, che sta lasciando la Terra. La musica qui è un alt rock, e per tutto l'album le scelte sonore saranno funzionali alla narrazione. "The big bang" è uno strumentale dai tanti suoni d'aria atmosferici, chitarra con delay, ma è il basso ad essere protagonista, assieme alle tastiere. "Omens" prosegue la narrazione, nel timore misto a eccitazione di cosa si potrà trovare in quest'esplorazione: "I try not to think what can happen", e il brano ha una chitarra ritmata più pop ed è calmo tranne nell'ultimo minuto, dove si scatena in una corsa della batteria. "Launch" inizia con il countdown dei razzi della NASA e ci porta ad un'altra musica energica, con un riff melodico di chitarra orecchiabile e un assolo di violino. Già il cosmonauta inizia ad avere le prime strane sensazioni: "I'm everything now, except myself." Ma come diceva sua madre, il fatto è che egli si era sempre sentito uno straniero nel nostro mondo, e quindi la propria identità la può trovare solo al di fuori: "Stranger in this world", che in mezzo al rock e ai suoni ambientali nasconde un ticchettio di orologio, simile a quello di "No son of mine" dei Genesis. Il tratto caratteristico dell'intero album è che i suoni spaziali, che comunicano la massima vastità, incontrano spesso e volentieri elementi dell'intimità più domestica, perché quest'universo, in cui stiamo tutti viaggiando assieme al protagonista, ci sta comunicando qualcosa della nostra interiorità che è molto più familiare di quel che ci aspettiamo. E così ritornano insieme il carillon e i suoni dell'astronave che prosegue nel vuoto, nel brano successivo, intitolato come un sistema binario tra una stella e un buco nero: "A0620_00_V616". "Salyut", nome del progetto sovietico che mirava a costruire una base spaziale permanente negli anni '70-'90, è anche il titolo della canzone successiva, dove i riferimenti si perdono sempre di più: "I don't remember anything...". "Satellites" è un pezzo che possiede una particolare enfasi drammatica, dove una chitarra quasi bellamyana ci invade e ci trascina nel ritornello, mentre il nostro eroe osserva i satelliti: "moon seems to move behind the atmosphere". Poi arriva una tempesta solare, chiamata per l'appunto "Moreton", con un suono di piano effettato, che ci porta a "Time", che non è la cover dei Pink Floyd ma un brano pop nel quale l'astronauta riflette sul tempo che ci assorbe, e sul proprio ruolo: "So this is my place, doing the same things...". "The tree under the ship" prosegue in questo rock atmosferico, che ospita nuovamente il violino, e in maniera più presente rispetto a prima. Gli ultimi due brani sono letteralmente mozzafiato. "Wormhole" ripropone il carillon, mentre si sente la voce terrorizzata dell'astronauta che ci chiede aiuto: "Where am I? Somebody save me, please...". Si percepisce un'estrema solitudine davvero commovente, sia qui che ancor di più in "Exoterra". Il titolo fa presumere il raggiungimento di una nuova Terra abitabile, ma la musica fa pensare a tutt'altro: il brano è costituito dalla sola voce cantata solista, persa nei suoni spaziali che ci hanno accompagnato in tutto l'album, e che questa volta restano gli unici compagni di viaggio del nostro amico, che si smarrisce in ciò che vede e nei propri pensieri: "And now I know that I'm alone (...) was devastating, it's all blue (...) let me be the first who can...''. "Voyage d'un seule nuit" è un album consigliato per chi cerca forti emozioni nella musica, fortemente raccomandato a chi ama i concept album tipici del progressive, e addirittura obbligatorio per gli appassionati di fantascienza. (Gilberto Ongaro)