VIKOWSKI  "Beyond the skyline"
   (2017 )

Se la scrive e se la canta Vincenzo Coppeta, in arte Vikowski, pseudonimo scelto un po’ per gioco, un po’ per assonanza. Crea anche un disco di esordio che – per dirla con bella semplicità - è semplice e bellissimo, pur con tutti i suoi percepibili, perdonabili, graziosi difettucci. E se la pronuncia dell’inglese qua e là è elegantemente imperfetta, ed anche se il tono generale vira verso un’ancestrale melanconia da leggero synth-pop inzuppata di eighties – con buona pace di penne autorevoli che lo hanno accostato ai National, mentre nella deliziosa apertura di “Lovers in P.” a me ricorda Gazebo, ed è un complimento -, ciò che rimane di “Beyond the skyline”, debutto per Costello’s Records prodotto dallo stesso Vikowski, sono queste otto tracce esili, morbide, essenziali, romantiche, venate di un velo di mestizia che invoglia ed incoraggia all’abbandono, alla contemplazione, a crogiolarsi in uno spleen in cui smarrimento equivale a sollazzo. Naufragare è dolce in questa passeggiata senza meta precisa fra luci ed ombre di un mellifluo crooning che fluisce confortevole in piccole ballate raccolte (“Drops”, “My old friend”): un pianoforte – strumento di elezione – ed una drum-machine bastano, insieme al canto intimo, ad un’atmosfera rilassata ed a poco altro per godersi una versione spartana ed affatto pomposa di James Blunt, ed è un complimento. Lasciamo stare gli improvvidi rimandi di qualche recensore agli Interpol, che c’entrano con Vikowski quanto Lilli Gruber col blues: qui siamo più in territori da garbato pop radiofonico, privo della spinta forzata alle charts e più affine a quelle belle canzoni ariose e un po’ introverse firmate Daniel Powter o Gavin DeGraw, ed è un complimento, perché di indie o sedicente tale Vikowski non ha necessità alcuna, capace com’è di parlare un linguaggio così beatamente easy da affascinare in pochi tocchi di magistrale concisione. Se “The beat you need” e “Nostalgia” indugiano maggiormente su un terreno più limitrofo all’elettronica tout court, evidenziando l’ossatura ritmica a dispetto della melodia, ogni altra traccia pare farsi soundtrack di un film che non c’è, un percorso immaginifico sublimato nella chiusa strumentale di “End of june”, commiato di sfuggente intensità che suggella un lavoro ispirato e diretto, privo di inservibili orpelli e dritto al punto. “Beyond the skyline” è innanzitutto questo, ossia un album che ha le canzoni, merce rara in tempi di vacue ugole senza autori: c’è da lavorare, affinare, perfezionare, ma l’inizio è quello giusto. Ed è un complimento. (Manuel Maverna)