ALBERTO VATTERONI  "Tra inganno e realtà"
   (2017 )

La domanda è lecita: come fa un giovane artista di appena 24 anni ad aver assimilato cosi bene un genere come il prog che viveva il suo massimo splendore negli anni ’70? Semplice: crescendo tra pile di dischi paterni che diffondevano in casa questa musica e tanto altro buon rock. Ma, detta cosi, sembrerebbe semplice ed alla portata di tutti ma non sarebbe sufficiente. In aggiunta occorre la complicità di un’anima sensibile e percettiva come quella di Alberto Vatteroni, polistrumentista cantautore carrarese che, estasiato dai suddetti ascolti, decise dieci anni fa di imbracciare la chitarra e intensificare i studi per poi diplomarsi con lode e facendosi le ossa in tanti live con un paio di gruppi: Oneiros e Numph. E non si pentiranno di certo i sostenitori della piattaforma-crowdfunding Eppela, per aver messo la mano in tasca per produrre il suddetto album d’esordio. E Alberto cosa ha fatto per onorare il loro impegno pecuniario? Ha calato il settebello “Tra inganno e realtà”, in cui ci si immerge in sonorità mature, ben congegnate e, come detto, sorprendentemente anacronistiche per la sua età. Il varo dell’opera è affidato ad “Anima”, in cui un riff-zanzara arriva da lontano e ti si attacca come una benefica sanguisuga ritmica, fatta eccezione per una breve tregua. Ma già scalpita “Hubris”, con l’ariosità del suo refrain accompagnato dalla vocalità passionale di Alberto e l’efficace assolo di chitarra elettrica. E’ logico che in un contesto cosi bello carico l’artista intuisce che c’è anche bisogno di inserti ballad come “Morfeo” e “Libero spirito”: la prima di matrice rock-prog dalle belle varianti, mentre la seconda alquanto seduttiva per l’ottimo arrangiamento, che ispira sensazioni tra l’onirico e un volo pindarico. Sia chiaro che l’anima di Vatteroni non si limita al rock ma assume, non di meno, anche un’intelaiatura di forma-canzone tipicamente pop-rock nostrano. Il pezzo che sorprende maggiormente, per la sua fantasia stilistica, è “Il giorno per noi”, con tratti sonori disegnati in modo da non far prevedere nulla del suo sviluppo anche all’ascoltatore più smaliziato. La perla dell’opera è nell’ostrica della title-track: brano energico e dinamico come un treno in corsa che però sa donare il giusto stacco strumentale per conferire fascino e zero monotonia. In chiusura torna la zanzara-guitar, ma stavolta più insistente che mai, e ti ronza coralmente con la vocalità del cantautore, che ostenta sicurezza e sa conservare la grinta che trasmette il pezzo. In definitiva, encomio meritato per Alberto che ha saputo curare i dettagli di questo debutto come un esperto cesellatore, benchè conscio di avere tanti occhi puntati addosso. Ma, piuttosto che tremargli le gambe per la responsabilità, ha coraggiosamente alzato la posta calamitandoci in una sfera onirica e riportando in auge la fondamentale differenza tra essenza ed apparenza: e non è roba da poco. (Max Casali)