ADDIO PROUST!  "Io non ho mai perso il controllo"
   (2017 )

Un grande film giallo è quello che ti inchioda nell'incertezza e non ti fa capire mai chi è l'assassino. Volturando l'analogia in musica, i fiorentini Addio Proust! adottano la stessa trama vincente: li puoi vedere e ascoltare quanto ti pare ma non saprai mai dar loro una precisa tipologia stilistica. "Io non ho mai perso il controllo" è un debutto che non annoia di certo. Non tanto per la miscellanea dei pezzi ma piuttosto per la voglia di rimetterlo presto sul lettore e far seguire un dibattito su come classificare la band, ammesso che ce ne sia bisogno. Intanto, per chi legge, qualche coordinata va data. Immaginate un pokerino giocato tra Nirvana, Marlene Kuntz, The Hives e i nostri CCCP: pochi bluff e tanti rilanci di posta. In più aggiungete gli scenari visionari di questi toscanacci che soffrono (brillantemente) di doppia personalità, schizzati al punto giusto senza essere necessariamente paranoici e ritrovando lucidità quando serve. La lista dei pezzi è un ping-pong emotivo: una chirurgica altalena tra morbido e crudo, tra tregua e incubo, tra respiro ed apnea. E' già il menù stesso a suggerire all'ascoltatore in che razza di pozzo surreale è cascato: tra "Pesci" e "Alieni", tra "Macello" e "Virus", tra "Bove" e "Insetto", il tutto immersi come in un film da prima visione che va gustato col privilegio della novità assoluta. E non sorprendetevi se gli Addio Proust! vi faran capire che le ossessioni sono come balene: cosi pesanti da gestire, ma cosi leggere da permettere perfino un raro e distensivo caffè, come suggerisce l'artwork della copertina. Ogni stato d'animo sarà ben diretto dalla band senza peli sulla lingua e, tirando dritto con il loro alt-rock e psichedelia, saran capaci di dettare sempre la giusta ipnosi lisergica, con Kobainiane chitarre graffianti ma anche con bassi cavernosi e batteria autorevole e autoritaria. Il vocalist Mattia Gonnelli, benchè non dotato di tecnica sopraffina, sa espletare la sua "sporca" missione con ruvide imprecazioni e inedite forme di ponteggi cantautorali, per parlarci di brama, possesso e, spiccatamente, di fame. Esattamente quella che dovrebbe avere ogni band per divorare costantemente la voglia di imparare, di sperimentare e con l'ardente proposito di non sentirsi uguali a nessuno. E, parafrasando il loro illustre ispiratore, gli Addio Proust! sono andati caparbiamente "Alla ricerca del tempo (rock) perduto". (Max Casali)