PHIDGE "Paris"
(2016 )
Nell'era della musica "liquida", si è perso, nei fatti, il significato di un bel packaging: senza arrivare alle maestose edizioni di alcuni vinili anni '70, va detto che anche certi cd ben più recenti recavano in dote libretti esaustivi ed assolutamente necessari alla piena comprensione di un disco. Ma il problema non termina lì: di questi tempi non è nemmeno raro che, di un album consumato da un numero infinito di ascolti, parecchi ascoltatori ignorino persino la relativa copertina. Il più delle volte, si tratta di un vero peccato: perché anche dietro alla scelta di un'immagine, di un colore o di una scritta, ancor oggi ci possono essere ore ed ore di studi, ripensamenti e lavoro. Sinceramente ignoriamo se alla base della cover del nuovo disco dei bolognesi Phidge ci siano tali e tante attenzioni: ma, innanzitutto, "Paris" è un album che richiama l'attenzione sin dalla copertina, bella e significativa, con questa ragazza che cammina scalza su un prato che conduce ad un orizzonte che sa tanto di infinito. Oltre alla poesia della suddetta immagine, da bolognese, permettetemi anche la semplice gioia del riconoscere la location, vale a dire la splendida Villa Ghigi, immutato paradiso delle prime colline petroniane. Tutto questo discorso, e tutta questa cura riposta nella suddetta cover, avrebbero davvero un senso relativo se il disco in questione non avesse ulteriori meriti musicali: e invece, è giusto chiarire che siamo in presenza di un ottimo album, compatto ma al tempo stesso variegato, dono più recente di una band che, giunta alla quarta prova (comprendendo anche l'EP "Needs" del 2003), palesa diversi sintomi di maturità artistica. Riccardo Fedrigo e i suoi pards ci hanno sempre saputo fare, ma stavolta hanno ulteriormente issato verso l'alto la propria asticella, raggiungendo picchi assoluti (lo street rock di "A couple of things", il chitarrismo funk di "Memories", il punk di "Face to face" che si risolve in un chorus quasi pop); e, soprattutto, comprimendo e compattando ulteriormente il proprio muro sonoro (stavolta teso e nervoso, come superamento e risoluzione delle atmosfere diradate ed attenuate del precedente full lenght "We never really come back"), i rockers delle Due Torri raggiungono il climax di una carriera che sfiora ormai i 15 anni di vita. L'equilibrio, stavolta, è perfetto. I Phidge hanno tracciato la strada, per il proprio futuro e non solo. Non ci stupiremmo se il loro percorso divenisse un esempio da seguire per il rock tricolore degli anni a venire. (Andrea Rossi)