NEVICA NOISE "Sputnik"
(2016 )
Il discorso iniziato con l’avventura Nevica Su Quattropuntozero, uno tra i possibili mondi concepiti dal musicista e produttore Gianluca Lo Presti, trova nel progetto Nevica Noise elementi di continuità che approfondiscono – espandendole – trame ed atmosfere già presenti nei precedenti lavori, ma accentuandone aspetti prima d’ora solo accennati. Quasi fosse uno spin-off austero ed infido, sospeso tra elettronica, minimalismo, rigurgiti wave ed un uso strutturale - non invasivo - del rumore, inteso come parte integrante del tessuto sonoro che lo permea, “Sputnik” si pone come propaggine più intima ed istintiva dell’architettura artistica sottesa alla mai lineare creatività di Lo Presti, offrendone un lato meno accondiscendente e confidenziale che in passato. Ergendo a protagonista quella componente del sound che restava in parte sottotraccia nella precedente incarnazione, l’album si muove diretto ed agile in un’alternanza di passaggi claustrofobici e di cavalcate memori delle arie melanconicamente tetre dei Cure: emblematici gli oltre sei minuti dell’opener “Mother and daughter” così come gli altrettanti di “The light side of dark boy”, entrambe introdotte da pulsioni rarefatte e successivamente arricchite dall’incedere incalzante della batteria di Alessandro Gomma Antolini (ospite in cinque episodi), capace sì di guidarle fin sul ciglio del mainstream, ma senza disperdere l’insopprimibile allure indie che le innerva. Se “Hotel Okura” si muove su un versante più sperimentale e psych, tradotto in una dilatazione space contrappuntata da screziature intermittenti, “Il mondo primordiale” – di cui è coautore un pioniere dell’italica avantgarde del calibro di Daniele Brusaschetto – chiude addirittura indugiando su un uso quasi jazzistico del charleston, prima che i riverberi di “Sarin” richiamino, nella loro spirale vorticosa ed ubriacante, le rifrazioni cervellotiche dei My Bloody Valentine di “Loveless”. Esclusivamente strumentale, fatta eccezione per l’amaro concept di “Do Nascimento” (emblematico come il solo testo del disco sia costituito dall’unione di spezzoni di conversazioni televisive campionati e collegati tra loro), “Sputnik” si chiude in bilico sugli otto minuti agonizzanti e dimessi di “Crisalide d’aria”, melodia statica e monocorde trafitta da un lento crescendo docilmente rumoristico che la avvia alla morbida saturazione conclusiva. E’ il naturale suggello ad un lavoro che rilascia con gradualità frammenti di una intensità emozionale tanto sottile quanto dirompente, svelando la preziosa filigrana di una musica dal fascino profondo ed intrigante, espressione di un autore forse mai così vicino a sé stesso. (Manuel Maverna)