FEDE 'N' MARLEN  "Mandorle"
   (2016 )

Impreziosito da alcuni collaboratori di spicco (M’Barka Ben Taleb, Katres, Gianni Guarracino e Ciro Tuzzi) e presentato pochi giorni fa – il 27 ottobre scorso, in un incontro moderato dal giornalista de “La Repubblica” Gianni Valentino – nella meravigliosa cornice del Teatro Bellini di Napoli, l’album d’esordio del duo femminile Fede ‘N’ Marlen è uno strepitoso elogio alla bellezza, al viaggio, al desiderio di respirare a pieni polmoni l’ispirazione che si percepisce intorno a sé, nel tentativo di abbracciarla e ricondurla intatta nella “forma canzone”.

“Mandorle” è una dichiarazione artistica di alto impatto emotivo e poetico, in cui già il titolo concorre nella spiegazione del significato dell’intero disco: un frutto che disegna la forma dell’abbraccio – custodito da un guscio che sembra volerne proteggere l’integrità e il perfetto equilibrio, nella totale rinuncia a ogni dualismo – è punto di partenza – ma anche punto di arrivo – dell’opera stessa. Un’opera che cerca di indagare alcuni dei più profondi misteri dell’uomo, servendo da scandaglio che cerca di immergersi nel mare di difficoltà, paure ed eventi incomprensibili che costellano l’esistenza di ciascuno di noi. La musica mescola sapientemente un sapore “global” orientaleggiante mai banale e studiato nei minimi dettagli – fantastico è in particolare il trattamento delle due bellissime voci, dei violini e delle fisarmoniche, oltre ai caldi fraseggi di chitarra – a tanta musica tradizionale europea, non solo napoletana ma del Sud Italia e del Mediterraneo in generale, con riferimenti alla tradizione folklorica campana, siciliana e spagnola, che si fondono in “Lucciola d’Inverno”, brano in tre lingue, o in “Isabé”, ispirata alla poesia “Sto ccà” di Eduardo De Filippo, dove si incontrano addirittura strofe in persiano, simbolo della nostalgia e della sofferenza amorosa, così ineffabile e difficile da descrivere.

L’album parte forte e sprigiona momenti convincenti sin dall’inizio, dove “Maldição” ed “Elogio alla Lentezza” si rincorrono vicendevolmente grazie ai bellissimi caleidoscopi creati da violini, fisarmoniche e chitarre, e dall’energia scaturita dall’intreccio delle due voci. L’elemento “mitico” è rintracciabile sia nelle tematiche di alcuni brani sia in alcune melodie e arrangiamenti, caratterizzati da un andamento arcaico e mitologico, come nel brano d’apertura “Maldição”, nella già citata “Lucciola d’Inverno” e nella trascedentale “Buddha”, in cui la battaglia combattuta tra le due cantanti diventa una sorta di mantra, al limite tra il posseduto e il rapsodico. A questa traccia mitica si contrappone una linea, sempre popolare ma più strettamente folklorica, che caratterizza gli altri brani, su cui spuntano “Otto e Venti” – un bellissimo dialogo tra un padre, interpretato da Ciro Tuzzi, e una figlia, dove la dichiarazione d’amore finale del padre è a dir poco struggente –, “Corallo” e “O’ Mele”, una storia di sofferenze e di speranze, in cui la chitarra arpeggiata e la soffice batteria costruiscono un tappeto sonoro di una bellezza limpida; la melodia orecchiabile e coinvolgente è scandita da un cantato che ha qualcosa di magico e trascendentale.

La composizione, l’ispirazione e il progetto dell’album creano il contorno del disco stesso. Federica Ottombrino e Marilena Vitale, entrambe napoletane, si incontrano nel 2013 e hanno sempre viaggiato tanto. Hanno osservato con gli occhi, ma soprattutto con le orecchie e il cuore, i quartieri della loro Napoli, che si ritrovano in molti passaggi melodici e in molti dei loro versi, poi l’Argentina, la Spagna, l’influenza pulsante del Mediterraneo. In questo primo LP, che segue un EP che le aveva portate in tour in tutta la penisola italiana, il loro particolare modo di guardare e penetrare le cose, le persone e soprattutto i luoghi si perfeziona ancora di più; il loro amore per gli strumenti tradizionali diventa qui ancora più tangibile ed evidente, ed è una colonna portante del loro sound. Senza queste componenti, canzoni come “Il Ventre della Sirena”, “Lucciola d’Inverno”, la spensierata e travolgente “Come Bere Farfalle”, non sarebbero le stesse. Va anche menzionata “Respiro”, l’unico brano scritto interamente a quattro mani, che è forse anche la canzone più pop, in cui la sensibilità melodica delle due ragazze esce fuori senza veli o paure. L’idea stessa che le due ragazze hanno a proposito di musica, viaggio e folklore è ciò di cui sono fatte queste canzoni, plasmate da un limbo in cui sarebbero rimaste per sempre se non fosse stato per il loro talento e la loro voglia di mettersi in gioco. Per essere un disco d’esordio, Federica e Marilena hanno dalla loro una notevole maturità, e dimostrano di saper gestire un suono antico, a suo modo classico. (Samuele Conficoni)