NICK CAVE & THE BAD SEEDS "Skeleton tree"
(2016 )
Non poteva essere un album qualunque “Skeleton Tree”. Non ci sarebbero stati punti in comune o paragoni con i precedenti lavori del gruppo. Non poteva essere solo un album musicale, il sedicesimo dei Bad Seeds; non poteva esserlo da quel 15 luglio del 2015, giorno in cui il cantante australiano apprese la notizia della morte del figlio Arthur. Il problema era vedere come questo dolore inspiegabile e contro natura entrasse nell’arte di Cave. La scelta sarebbe potuta ricadere sulla rabbia pura, frutto della frustrazione per la mancanza di risposte, oppure poteva concretizzarsi in una musica ed in testi che avrebbero solo riflesso una mesta ed infinita disperazione. Non ci sono dubbi che la seconda soluzione ha caratterizzato tutto il lavoro. Facile constatazione che diviene certezza dopo l’ascolto delle prime note di “Jesus alone”. Se proprio dovessimo trovare una canzone od un album che ci riporta al clima della prima traccia, diremmo che il senso di oppressione di “Jesus alone” (complice un’affascinante tastiera distorta e costante) non è molto dissimile dal mood che si respirava nelle sepolcrali melodie di “Desertshore”, ad opera di Nico. Le liriche sono tutte opera di Nick Cave, che divide i meriti compositivi con Warren Ellis, gli altri Cattivi Semi (Martyn Casey, Thomas Wydler, Jim Sclavunos, George Vjestica, Else Torp, Ellie Wyatt, Charlotte Glasson e Joe Giddey) sono la solita grande band, più che mai attenta ad assecondare un racconto intimo del leader. Il sound è sempre lineare e difficilmente riusciamo ad intravedere una traccia con un piglio differente od una reazione particolare. Tutto l’album è un racconto. Un racconto di dolore. Non ci sono fronzoli e tutti i Bad Seeds sembrano attentissimi ad evitarli (come chi cerca di mantenere il giusto rispetto all’interno di una chiesa, in un funerale). Perché a questo assomiglia “Skeleton Tree”. In passato Cave ha scritto pagine memorabili e non propriamente allegre (è Nick Cave e non Nick Kamen), ma anche quando cantava di sedie elettriche, di padri piangenti, di perfidi assassini, di sangue o di amori struggenti, mai avevamo avuto la sensazioni di trovarci ad un funerale. Il carattere scarno c’è ovunque e, non a caso, anche la copertina è di un essenziale che più essenziale non si può; i credit ci sono, ma quasi perché non si poteva ometterli; il formato digipak è uno dei (volutamente) peggiori mai realizzati. La seconda metà del lavoro sembra, tuttavia, fare un po’ di pace con la musica. Non cessa la sofferenza, ma sembrano più facilmente riconoscibili i Bad Seeds classici. Forse la sesta traccia (non a caso si intitola “I need you”) è quella che pare osare un po’ di più, consegnandoci un Cave ancora fermo sul dolore, ma più sensibile ad un discorso di ritmo melodico. La voce di Else Torpe rappresenta un’assoluta novità nelle musiche di Cave, tanto che ci sembra quasi di sentire un brano di un’Enya sofferente. In questa canzone è Cave che funge da backing vocals, probabilmente perché troppo coinvolto nel cantare di cieli lontani. Forse perché questo è un album, ma è anche un’altra cosa, viene difficile giudicarlo. È un qualcosa da sentire in silenzio. E l’ascolto stesso, di conseguenza, non rimane un ascolto fine a sé stesso, per rinnovarsi in continue e rispettose condoglianze. (Gianmario Mattacheo)