EMILIANO MAZZONI "Profondo blu"
(2016 )
Originario di una piccola frazione montana dell’appennino modenese, Emiliano Mazzoni è un cantastorie atipico ammantato di un’aura quasi eremitica. Attivo da almeno tre lustri, inizialmente nel progetto InLimine, quindi con i Comedi Club, ha varato una carriera solista sì defilata, ma di tutto rispetto, grazie anche al supporto di Luca Rossi (ex Ustmamo) nella duplice veste di produttore e collaboratore. Pubblicato su etichetta Private Stanze, “Profondo blu” è il terzo lavoro in studio di Emiliano, che si avvale ancora del supporto di Luca Rossi per dare vita ad un progetto improntato sul consueto intimismo caustico ed introverso che già ne aveva caratterizzato i lavori precedenti. Lavoro che si snoda lungo un cammino di oscura intensità, “Profondo blu” insiste caparbio sul registro tetro della murder-ballad in un profluvio di tonalità minori assecondate da un’interpretazione riflessiva, la cui monocromaticità, lungi dal soffocarne gli ardori, si pone come cifra stilistica di un autore scaltro nello sfruttarne il potenziale evocativo. Musicalmente splendido, l’album ricorda il debutto tardivo di Danio Manfredini, un’opera nella quale l’elemento letterario e testuale ben si confà alle altezze cui veleggiano le deliziose trame che ne sospingono l’incupita melodiosità. Con un piglio differente, il climax potrebbe lievitare in zona Cesare Basile, ma Emiliano si mantiene al di qua dell’espressionismo carnale dell’artista catanese, prediligendo un approccio più morbido, sebbene non sempre conciliante o accomodante (ad esempio ne “Il meschino”, condotta ad un passo che ricorda “Il deserto”). L’album si apre sul noir foscamente introspettivo di una “Al mio funerale” che gravita addirittura in area National, attraversa lo swing sghembo di “C’era un giorno ed ero io” per giungere a librarsi, vibrante e intenso, nel testo toccante de “L’arte che avrai”, sublime esempio di ardore letterario, cedendo la scena ad episodi nei quali striscia un sottile pessimismo cosmico, intreccio indissolubile di malìa ed inquietudine. “Profondo blu” oscilla così fra squarci di poesia estatica e concessioni affatto episodiche ad un indie-rock tanto addomesticato quanto sorprendente nel rivitalizzarne le plumbee trame: accade ne “Il cielo della scuola”, nel groove elettrico à la Kozelek di “La metà” – arrovellata su una cadenza ossessiva da “Carry me Ohio” -, nella tesa “Faccia da uomo”, ma è laddove le chitarre si fanno da parte che l’anima più raccolta di Mazzoni trova migliore realizzazione. Le quattro tracce conclusive costituiscono altrettante gemme di solitaria essenzialità che giungono a compimento nell’incedere bislacco – con una pregevole, quasi impercettibile variazione ritmica – di “Senza guai importanti”, nella melanconica ballata sul trascorrere del tempo di “Non invecchieremo mai”, impreziosita da un chorus arioso e toccante, e nella dolente accoppiata finale, con la pungente “E tutti eran da qualche parte” e la desolata, dimessa “S.Valentino nella cassa” a suggellare un lavoro che svela a piccoli passi una magia soffusa e preziosa. Disco non semplice che richiede svariati ascolti prima di insinuarsi sottopelle, “Profondo blu” è album ricco di spunti di pura classe, raccolta di canzoni che in più occasioni lambiscono l’eccellenza ed in almeno due episodi raggiungono vette degne delle più illustri penne del cantautorato nostrano. (Manuel Maverna)