MAJAKOVICH "Elefante"
(2016 )
Ad ogni uscita, evidentemente gli umbri Majakovich fanno un notevole, deciso e decisivo passo in avanti. Il loro secondo album “Il primo disco era meglio”, pubblicato nel 2014, completava il cammino iniziato con l'esordio (“Man Is A Political Animal By Nature” del 2010), ampliando il discorso e, per alcuni versi, modificandolo pure non poco, vedi l'utilizzo totale della lingua italiana. “Elefante” prosegue la strada intrapresa, ma anche stavolta gli elementi aggiunti non sono ne' scarsi ne' casuali. Sparisce quasi del tutto l'elettronica, trait d'union delle prime prove della band, e apparentemente sembra diminuire la “furia” da headbanging del combo ternano: ma, come spiega lo stesso titolo scelto, si tratta solo di un cambio di velocità. Il passo pesante, chiaro fin dall'iniziale title track, diviene l’equilibrio tra la calma e la furia, esattamente come l'andatura di un elefante. Volendo (ma non è necessario), i riferimenti della band rimangono gli stessi (Verdena? Ministri? Gli ex padri putativi Afterhours?), ma il passo in avanti più marcato è forse quello dell'originalità. Ascoltatevi “Un gran bel culo”, e ditemi quale dei succitati gruppi vi viene in mente, Nessuno, credetemi. E, poi, la furia tipica della band che si sarebbe un po' persa per strada? Ascoltatevi “Piero portami a scuola”, e ditemi se vi viene in mente qualcosa di più diretto, spontaneo e, al tempo stesso, oltraggioso: chitarre che sputano, che ti abbracciano per poi lasciarti inebetito, un autentico muro sonoro che non puoi assolutamente scalfire. E se, per un attimo, “L'ultimo istante prima di partire” vi sembra “addolcire” un po' il discorso, ciò significa che non avete ascoltato una parola di ciò che Francesco Pinzaglia ha cantato. Insomma, badiamo al sodo: siamo in presenza di un gran disco. Semplicemente grande. “Elefante” dei Majakovich si laurea, con ottime possibilità di riuscirci, a diventare il disco alternative rock italiano del 2016. E siamo solo a gennaio. (Andrea Rossi)