TOOT "Error 404"
(2016 )
L’idea di fondere in quella che oggigiorno viene comodamente definita indietronica la fruibilità di massa del pop, l’irruenza chitarristica del rock e la martellante ossessività della techno raggiunse l’acme all’inizio degli anni ’90 con l’intuizione di Liam Howlett e dei suoi Prodigy, capaci di iniettare scariche adrenaliniche (con sonorità di matrice tardo-industriale, figlie dei Test Dept e dei primi Nine Inch Nails) su basi dance, ottenendo una musica ancora più spinta e violenta della somma delle sue parti. I romani Toot, due ep all’attivo dal 2011, qui all’album di esordio su etichetta Sostanze Records (label indipendente di impronta - non a caso – elettronica), grazie alla cieca abnegazione profusa in queste nove tracce solide e concise squarciano un contesto in parte anacronistico con una furia belluina non priva di intelligenza: più Ministry che Chemical Brothers, più abrasiva cattiveria che indie for the masses, il trio assembla un lavoro roboante dalle disparate influenze, furba sagacia oscillante fra istanze in apparenza inconciliabili. E’ l’opener “If or not” a dichiarare gli intenti: dopo un minuto e mezzo da Daft Punk, una frase di chitarra (otto note, quasi un sample da “Auberge” di Chris Rea) ed un finale pirotecnico conducono il brano altrove, proprio come la successiva “Nobody is dancing” (con la voce di Giovanni Ciaffoni dei Suntiago), improbabile crocevia fra Manson e Subsonica, bassline sopraffina e bridge degno dei Sublime a metà pezzo. Sospinto da una inesauribile verve, l’album accosta con invidiabile scioltezza elementi antitetici: si passa così dalla title-track – una mitragliata à la Rammstein – al remix (anche nel titolo) di “Diz is why I’m not hot”, rivisitazione in chiave provvidenzialmente noisy di un fiacca traccia dei Die Antwoord; dal lascivo rock zeppeliniano di “Another weapon”, che sembra quasi citare i Rage Against The Machine in un paio di movimenti, ai Rolling Stones in raggamuffin della conclusiva “Jungle”, con la pregevole tromba di Costanzo Vitale. E se “Everyday is a struggle”, hip-hop con la voce del veterano Lord Madness, si ciba di disparate schegge sparse ad arte in tre minuti di centrifuga (offbeat, scratch forsennato di Dj FastCut, inflessione reggae, frase di chitarra western a contrappuntare il brano, aperture addirittura morriconiane sul chorus), in coda sia “Sballo” che “Plastic bumble” (techno sfiorata) ripiegano su marcati accenti electro, depistando per l’ennesima volta in nemmeno trenta minuti di ribollente creatività. Disco che necessita di adeguati volumi per dispiegare appieno la propria veemenza, “Error 404” è lo specchio evidente di una contemporaneità espressiva incentrata sul crollo dei compartimenti stagni fra i generi: album che volutamente rinuncia ad assumere una direzione ben precisa, persegue con caparbia ostinazione una sfrontata ricerca del groove, unita ad una spasmodica, frontale tensione verso l’enfatizzazione del ruolo della ritmica. Ondivago e spiazzante. (Manuel Maverna)