PAOLO CONTE  "Aguaplano"
   (1988 )

Non sarò breve. Metto subito le mani avanti, ma quando la materia da trattare è così abbondante e allo stesso tempo così pregiata, è praticamente impossibile contenersi. Con “Aguaplano” (1988) per la prima volta siamo di fronte ad un Paolo Conte che pensa in grande. Finora c’erano stati capolavori assoluti come “Paris Milonga” e l’album “Paolo Conte” del 1984, ma un doppio album con ben 21 canzoni, un trionfo di colori, di fantasia, di varietà come questo noi seguaci dell’Avvocato non l’avevamo ancora visto, e mi ricordo bene che all’epoca fummo anche un po’ spiazzati, in senso positivo, da questa alluvione di grazia di Dio, ma fu facile riprendersi subito, anche grazie allo spettacolare tour che seguì il disco, che poteva contare su una band in cui suonava, tanto per fare qualche nome, gente come Ares Tavolazzi, Jimmy Villotti, Antonio Marangolo, Ellade Bandini, e la sensualissima violoncellista Marie Françoise Pelissier (quest’ultima poi – sigh - scomparsa dall’album successivo, chissà perché). Musicisti veri, jazzisti costretti a suonare in piedi da quanto avevano i coglioni quadrati, salvo si capisce la Pelissier, che sapeva tenere quel violoncello in un modo inconfondibile… Che distanza abissale da certi inutili rumori di ferraglie, ma non divaghiamo: stiamo parlando di “un mondo adulto”, e soprattutto di musica, vera musica. Quella che “sa far ridere, ma d’improvviso ti aiuta a piangere”, e così ho già citato due volte l’autore. Un Paolo Conte maturo ma non ancora vecchio, capace ancora di inserire qualche goliardata in mezzo alle sue malinconiche rievocazioni di un magico mondo che fu. No, forse non è il suo capolavoro, ma è certamente l’album più variegato, quello dove si possono apprezzare le molte personalità dell’Avvocato. Proprio le goliardate, i brani più cabarettistici, sono forse gli unici di cui volendo si poteva fare anche a meno, ma si sa che in progetti di così ampio respiro è praticamente impossibile che ogni ciambella riesca con il buco. “Non sense” e “Gratis” rappresentano un Paolo Conte minore, ma solo perché messo a confronto con quello, incantatore, che domina gran parte di questa opera complessa ed estesa. L’affascinante esotismo di maniera che da sempre arricchisce il jazz di Paolo Conte si presenta subito in tutto il suo splendore all’inizio del primo disco, con l’elaborato ritmo, tipo bossa nova accelerata, di “Aguaplano”, per poi riaffiorare in una trascinante e caraibica “La negra”, e in seguito in “Ratafià”, brioso scherzo di sapore vagamente argentino, ma senza la tristezza piazzolliana. Ma a impreziosire questo primo disco sono i lenti, tanti e ispirati. A volte “ballads” di sapore jazz come “Baci senza memoria” e “Languida” (un titolo che è tutto un programma). Oppure più particolari, come “Paso doble”, per pianoforte e voce, geniale alternanza di strofe meditabonde con un ritornello veloce e quasi burlesco (“si ma più che pensarti e pensarti, eventualmente incontrarti vorrei…”). Anche le simpatiche vecchiette mangiatrici di gelati “da 70 anni in su” di “Dopo le sei” sono davvero un bel quadretto, di gusto molto francese. Ma il vero capolavoro, secondo me dell’intero “Aguaplano” si chiama “Max”: pochi e vaghi versi, secondo il modello già apprezzato nella sublime “Hemingway”, sostenuti da un delicatissimo bolero, e poi largo alla musica, un’esplosione ritmica e melodica con grande show della fisarmonica, altro strumento considerato demodè, e come tale prediletto da Paolo Conte, e anche da me. Altro lento da incorniciare: “Hesitation”, una “scena d’amore e di esitazione stupenda” descritta da maestro con un commovente dialogo, di gusto quasi cameristico, tra pianoforte e violoncello. Questo primo disco, assolutamente perfetto, è chiuso da “Nessuno mi ama”, altra suggestiva canzone a doppio ritmo: prima parte lentissima, preparatoria, quindi vai con il finale scoppiettante, letteralmente swing, fine anni ’30. Già abbondantemente soddisfatti, infiliamo il secondo CD, e troviamo subito un raffinato ritmo: è quello di “Midnight’s Knock Out”, prestata a suo tempo anche alla Vanoni. Anche qui, sia pure con qualche pausa, la qualità si impone: ecco due bellissimi lenti jazzeggianti e malinconici come “Recitando” e “Troppo difficile”. Specie nel secondo anche il testo fa riflettere. “Anni” è la gemella di “Aguaplano”, almeno come ritmo, “Spassiunatamente” propone l’improbabile napoletano del piemontese Paolo Conte, ma in compenso ha un pulito e costante accompagnamento di chitarra acustica, e versi come “’na scudisciata turcomanna ‘a mezza luna”, della serie “come disegnare un quadro in sei parole”. “Les tam-tam du Paradis”, in francese, offre invece tamburi e gioiose atmosfere africane. Infine “Jimmy, ballando”, dedicata all’amico chitarrista Jimmy Villotti, autentico genio pazzoide, che suona anche in questo disco, ci lascia in quello stato tipico di sazietà, di pacioso godimento, ma anche di insinuante meditazione, che si prova alla fine di una cena squisita e abbondante, una cena simile a questo grande disco, traboccante di inventiva. (Luca "Grasshopper" Lapini)