MADONNA "Confessions on a dance floor"
(2005 )
Iniziare una recensione partendo dal gossip non è educato. Ma la signora Madonna, che ha sempre saputo essere maleducata con classe, non ce ne vorrà. Pare che negli uffici londinesi della Warner venisse chiamata Oldfrapp. Come a dire che non ce la fa più a riciclarsi, che la sua ansia di “reinvention” ormai è solo caricatura e non le resta che lo scorno di dover calcare strade già percorse dalla più giovane e modaiola Goldfrapp. Ebbene, con buona pace dei detrattori, Madonna è riuscita a regalarci uno degli album più coesi, convincenti e divertenti della sua carriera. 'Confessions on a Dancefloor' è un ritorno alle sue origini dance senza se e senza ma. Un buon disco con un solo neo: non stupisce. Madonna ha dato un robusto colpo di coda ma è troppo visibile la sua ansia di tornare in sella. Stuart Price (che è forse la vera star di 'Confessions') le costruisce intorno una serie di groove blindati che le impediscono ogni passo falso. La ingabbia in una dance adulta e talmente piena di riferimenti da fare la gioia di un ascoltatore trentenne un po’ secchione. Un risultato è quello di non dover sentire ballad: qualcuno deve averle fatto capire che sentirla cantare “The Power of Goodbye” è analogo a vedere John Cena che danza sulle punte. “Hung Up” è un piccolo capolavoro di riciclaggio: è di fatto “Hammer to The Heart” di Tamperer arricchito da un notissimo loop degli Abba. “Get Together” invece è una “Music Sounds Better With You” incattivita mentre “Future Lovers” è l’ennesima rivisitazione di Moroder-Donna Summer. Tutto OK fino ad “Isaac”, unico vero scivolone: il ritmo rallenta per fare spazio ad un cantico ebraico che vorrebbe essere un omaggio alla Cabala ma che finisce per somigliare a qualcosa degli Enigma. (Daniele Cassandro)