THE CHEMICAL BROTHERS  "Born in the echoes"
   (2015 )

Ed e Tom sono due ragazzi che si esibiscono nei luoghi più remoti di Manchester. Si divertono a far ballare i giovani operai, gli studenti ed i disoccupati. Sanno di non trovarsi certamente nel luogo più bello del mondo, ma sono contenti; sono contenti perché sono riusciti a realizzare un disco, un disco vero. Si chiamano Dust Brothers. Hanno ingaggiato un americano, un po’ strano a dir la verità, lo hanno ingaggiato per cantare un brano. Lui, lo strano, si chiama Beck David Campbell, ed indossa spesso un cappello, suona l’armonica a bocca e la chitarra acustica, ma impazzisce per qualche beat elettronico, per un campionatore, si esalta se ascolta un sintetizzatore ben programmato. La canzone nella quale canta l’americano è ''Wide Open'', canzone che chiude il CD, che rimanda all’orgasmico finale di un caro LP, non ancora pubblicato, che risponde al nome di ''Push The Bottom'', scritto dai quasi omonimi Chemical Brothers. Coincidenze. Il loro lavoro invece si chiama ''Born In The Echoes'', ed è una roba difficile da descrivere: sembra di sentire i Kraftwerk, ed i Beastie Boys ma con un’anima molto soul. Si balla, si ascolta, oppure si fanno entrambe le cose contemporaneamente. Il successo sta nell’inserire, in quella sequela positiva di freddi impulsi elettronici, una componente primitiva. Atavica e africana. Recuperare un istinto in buona parte smarrito. Ed è per questo che l’accoppiata ''EML Ritual''/''I’ll See You There'' è devastante. Un puro ritorno alle origini. Dove l’uomo è nato; realizzato nel tempo nel quale si è perso. Assolutamente magnifico. ''Just Bang'' svolge la funzione di spartiacque: se fino alla quinta traccia del lavoro si cercava di estrarre dal singolo utente una sorta di spirito di comunione della collettività, muovendosi nella sfera della ritualità, adesso le cose sono cambiate, con ''Reflexion'' si passa dal confessionale. Dietro la grata però non c’è nessuno. Siamo soli e da soli ci immergiamo nell’onirico e bambinesco richiamo di ''Taste Of Honey'', una sorta di calorosa e colorata passeggiata, ed ancora storditi ci dirigiamo verso un più grigio e squadrato mondo futuro. Quasi fantascientifico. Ansia del divenire, dell’emergere e dell’essere muovono l’apertura gloriosa di ''Radiate'', che viene però molestata dal graffio artificioso di un lontano nemico. Scacciamolo. Adesso c’è il nostro amico americano, quel Beck. Ed è uno spettacolo. (Cesare Di Flaviano)