ANDREA ARNOLDI E IL PESO DEL CORPO  "Le cose vanno usate le persone vanno amate"
   (2014 )

Cantautorato acustico in punta di chitarra. E poi violoncelli guizzanti, organetti, sitar e theremin. Undici canzoni sulla morte dalle parole lievi, ma dense e definitive, che si nutrono di letteratura e della “meraviglia / di amar qualcosa che non mi somiglia”. “Le cose vanno usate le persone vanno amate” è il nuovo lavoro di Andrea Arnoldi & Il Peso del Corpo, in uscita il 4 dicembre in rigorosa autoproduzione e anticipato dal singolo “L'ortica”, già disponibile su YouTube (http://youtu.be/6ejQjIq8sno). Il cantautore bergamasco ha scritto, cantato e arrangiato, insieme al suo ensemble di musicisti denominato Il Peso del Corpo, undici canzoni di cantautorato lieve, mai urlato (semmai cantato in coro), dove si suona in punta di chitarra acustica e si cantano parole quiete, ma dense e definitive. “Le cose vanno usate le persone vanno amate” è un disco tutto incentrato sulla morte come possibilità di rivincita-redenzione, e l'amore come unica àncora possibile, di vita e non di sopravvivenza. I brani, tutt'altro che tristi, semmai a volte malinconici, si nutrono delle parole di filosofi come Deleuze e di scrittori come Chlebnikov, Pessoa e Giorgio Vasta, il cui romanzo “Il tempo materiale” ha ispirato il testo del singolo “L'ortica” - allegoria strisciante del tempo che si attorciglia e conquista la fortezza di ogni corpo - e anche il video realizzato per l'occasione dallo stesso Andrea Arnoldi insieme a Fabio Corbellini. "L'ortica", con le sue atmosfere incantate, malinconiche ma tutt'altro che tristi, rappresenta al meglio il carattere di "Le cose vanno usate le persone vanno amate". Un disco dove le parole levigate di Andrea Arnoldi abitano un mondo in cui chitarra e archi si innamorano fra loro, e cercano la complicità di fiati, percussioni, piccole campane, organetti, sitar e theremin. Una realtà dove la morte non perde un grammo della propria inesorabilità, ma diventa un modo per non perdere, come si canta nella traccia conclusiva “Decalogo”, “la meraviglia / di amar qualcosa che non mi somiglia”.