OFFLAGA DISCO PAX  "Socialismo tascabile (Prove tecniche di trasmissione)"
   (2005 )

Talvolta chi desidera raccontare rifugge dalla semplicità per timore di rivelarsi vittima di un prevedibile deja-vu; ma nella semplicità alberga spesso la più autentica poesia, la scintilla dell’interesse, la verità che si fa storia senza bisogno di attingere ad altro pozzo che non sia quello al quale ci si è abbeverati nel mestiere di vivere. Facile ammetterlo, meno riconoscere di poter elevare ad arte la quotidianità, quella normalità soggettivamente eletta a modello e svelata nella narrazione; è un live-to-tell che procede per agnizione l’architettura concepita da Max Collini, Enrico Fontanelli (prematuramente scomparso nell’aprile del 2014) e Daniele Carretti, una costruzione tanto spavaldamente avanguardistica nell’idea quanto scheletricamente esile nella sua ingannevole essenzialità formale. Una intuizione, al principio: narrare storie su una base musicale. Semplice come disegnare su un foglio bianco, ma il disegno va creato ed il foglio va riempito, qui sta il busillis. Accostàti – come ovvio, vista la peculiare scelta stilistica – agli epocali Massimo Volume, gli Offlaga Disco Pax sembrano muoversi tuttavia in una differente direzione, in cui la dimensione esistenzialista è attutita sia dalla scelta di relegare l’emotività alla fredda cronaca, sia dal ricorso a temi musicali di matrice elettronica, funzionali ad assecondare la metronomica sinteticità dell’insieme. Lungi dall’arricchire di tensione viscerale le loro composizioni, i tre ne prosciugano invece il pathos relegandolo in secondo piano, cercando di estrapolare il sentimento da elementi che ne sono naturalmente privi (“Piccola Pietroburgo” evoca impegno civico muovendo dalla descrizione di un monumento); anzichè descrivere e sviluppare un’emozione vissuta, Max Collini, cronista più o meno anaffettivo, finisce per riprodurre a posteriori emozioni provate vent’anni fa, ammesso che di emozioni davvero si tratti. E’ così nell’iniziale “Kappler”, racconto bislacco che riqualifica la figura di un arcigno docente di Agraria smorzandone le asperità caratteriali e riconferendogli – col senno di poi – la profonda umanità negatagli dalla insensibilità del diciannovenne del tempo, grazie a parole di malcelata stima e ad un paio di dolci accordi di chitarra mirabilmente distillati; ed analogo è l’intento che anima “Khmer rossa”, che erge a protagonista - quantomeno problematica - la quattordicenne Ylenia, tratteggiata vividamente nella veemente precocità che ne sfregia l’innocenza adolescenziale fino all’amplesso descritto nel raggelante epilogo. C’è politica – tanta, ovunque, inequivocabilmente sinistrorsa – e c’è un abbozzo di sentimentalismo, trasfigurato in fogge inusuali, quasi sempre mascherato dietro un velo di cinismo, talora di indifferenza, spesso di algida razionalità; emergono ricordi pregnanti ed altri meno strutturati, sempre e comunque valido pretesto per spostare l’analisi sulla tematica portante (la nostalgica “Cinnamon”, la didascalica “Robespierre”, l’amara “Tatranky”). Soltanto in due episodi la riflessione politica cede il passo a temi avulsi dal socialismo imperante: l’invettiva ad personam della feroce “Tono metallico standard” e soprattutto la toccante “deFonseca”, brano che è quasi – mutatis mutandis – una canzone d’amore perduto sui generis: ma il modo che Collini ha di narrare la fine di un amore non va al di là della sua miniaturizzazione in frammenti di un neorealismo gelidamente tangibile. La passione – non del tutto sopita – è ridotta, confinata e ricondotta agli oggetti intimi che ne ricordano i fasti: un paio di pantofole ed uno spazzolino da denti. Non si parla di lei, ma dei suoi effetti personali: è la parte per il tutto, il dettaglio salvifico che distoglie da un soffrire solo velatamente ammesso, quasi con pudicizia. Opera a suo modo estrema, “Socialismo tascabile” è espressione ruvida, pura e sincera di un’arte ibrida che sposa reading e dj-set, album storiografico smaccatamente schierato, manifesto programmatico che dichiara intenti e lancia proclami da un pulpito improvvisato, magari collocato proprio al centro di piazza Lenin, a Cavriago. (Manuel Maverna)