THE JESUS AND MARY CHAIN  "Psychocandy"
   (1985 )

Quando la mia morosa dell'epoca me lo regalò in vinile – era il 1988 -, dopo avere ascoltato i primi quattro brani le telefonai dicendole che probabilmente il disco era difettoso, perchè suonava malissimo. "Ignorante", mi apostrofò, "è proprio così: è il feedback". Non ho sposato quella ragazza, ma le sono riconoscente per essere divenuto, da allora, feedback-dipendente. “Psychocandy” è l’album di esordio dei Jesus & Mary Chain, band scozzese assurta nell’ultimo quarto di secolo al rango di autentico mito oscuro e sotterraneo, oggetto di culto e devozione per questo suo essere entità malvagia ed assassina, votata al recupero ed allo sviluppo della lezione appresa dai Velvet Underground. Rispetto ai maestri indiscussi, i Jesus & Mary Chain perdono l’afflato artistoide e le finezze strutturali, preferendo concentrarsi sullo stupro sonoro di scipiti bubblegum-pop da 2-minuti-2 e 2-accordi-2 (rigorosamente in tonalità maggiori), riuscendo ad ordire una musica belluina ai limiti dell'ascoltabile. L'apertura è affidata alla lenta cadenza di "Just like honey", ironica sin dal titolo, traccia ingannevole seguita da altri 14 brani che costituiscono un dolente martirio disturbante e fastidioso. La sezione ritmica è compressa fino all'estremo, con la batteria ridotta ad una cassetta della verdura percossa a chilometri di distanza, mentre il basso è appena udibile e del tutto inessenziale in cotanta babele e indistinto bailamme. Continue scariche acide di chitarra distorta violentano canzonette a stento udibili mentre Jim Reid biascica senza alcun sentimento pochi versi nichilisti in sottofondo. A parte le brevi pause di "Cut dead" e "Taste of Cindy", il resto è un massacro uditivo senza pari che raggiunge l'apice nella follia omicida di "The living end", nei fischi aberranti che tritano "In a hole" e soprattutto nel trapano di matrice industrial che martirizza il culmine di devastazione di "You trip me up". Un inferno sonoro ancora oggi ineguagliabile, un manifesto fatto di quarantacinque minuti di dolore nei quali potreste dire di non avere ascoltato nessuna canzone degna di questo nome. Epocali. (Manuel Maverna)