THE NATIONAL  "Boxer"
   (2007 )

Tre cose mi affascinano in questo pluridecorato ed unanimemente elogiato album dei National: in primis l’atmosfera generale che si respira in ogni traccia, cupa decadenza che sa di polvere in una soffitta semibuia, poi l’afflitta malinconia che pervade i brani – tutti rigorosamente in tonalità minore - come uno spirito vagante in cerca di pacificazione, ed infine il crooning baritonale di Matt Berninger, dimesso traghettatore di anime che narra pacato di piccoli anfratti emotivi nei quali gente senza volto si è persa e mai più ritrovata.

A dire il vero mi piace anche la scelta di affidarsi a composizioni piuttosto brevi (fra tre e quattro minuti), soluzione che permette alla band di non appesantire ulteriormente questa musica già di per sé oscura ed agonizzante, sensualmente tetra, figlia di nessuno e senza parenti prossimi. E’ musica notturna, esile e straniante, arrangiata con semplicità ed affidata a contrappunti chitarristici essenziali e ad ammalianti progressioni armoniche su un tappeto ritmico interessante per varietà e ricchezza (“Guest room”, o meglio ancora il meraviglioso intreccio di linee melodiche dell’opening “Fake empire”), musica svincolata da (quasi) ogni influenza immediatamente riconoscibile.

Non è blues, non è rock, forse è una pallida rivisitazione di canoni folk (“Start a war”) riletti con lenti nere ed occhi stanchi e cerchiati da un dolore sottile ma ineliminabile, un po’ come accade per Nick Cave o Tindersticks; ed anche se in alcuni episodi (“Mistaken for strangers”, “Apartment story”) pare addirittura di ascoltare gli Interpol, lontani abitanti dello stesso triste mondo ed attori dello stesso dramma, l’impressione di trovarsi al cospetto di un caso isolato permane fortissima.

E’ musica che chiude il cuore e trova in ciò il proprio limite, lamento identico a sé stesso dall’inizio alla fine, mesta elegia che non si concede divagazioni, un largo tunnel nel quale viaggiare lentamente senza la speranza di vedere mai la luce. (Manuel Maverna)