DIAFRAMMA "Il ritorno dei desideri"
(1994 )
Quali possano essere gli elementi che fanno di Federico Fiumani da Firenze, a quasi trent’anni dai suoi esordi, un artista ancora oggi tanto attivo e prolifico quanto stimato e riconosciuto (sebbene in un ambito di nicchia), non è cosa facile da stabilire. Se i Diaframma oramai esistono unicamente come moniker dietro al quale si cela il solo Federico attorniato da turnisti di ventura, è anche vero che agli albori della loro carriera si ersero a baluardo di una insolita – per il Bel Paese - dark-wave con la sciolta sicurezza sia dei pionieri che dei veterani, consegnando alle stampe una manciata di singoli oscuri (“Circuito chiuso”, “Pop Art”) ed almeno un album tuttora citato tra le pietre miliari della italica new-wave anni ’80 (“Siberia”, 1984); da lì in avanti (“Tre volte lacrime”, 1986, e “Boxe”, 1988), la deriva cantautoriale che mise infine da parte Miro Sassolini e promosse Fiumani dapprima a leader ed in seguito a padre-padrone del progetto, oggi vivo e vegeto, prese il sopravvento, mutando la creatura iniziale in un act completamente avulso dagli intenti primordiali. Quello proposto sia nei capitoli successivi, sia in questo eccellente lavoro del 1994, non è dunque rock, sebbene la produzione di Gianni Maroccolo spinga l’album su un versante molto più energico del solito (l’opener “Il sogno” è una sassata garage non indifferente, con riff, assolo, ritmica serrata, cambi di tempo, così come “La crisi” suona ferocemente stoogesiana), e non è più nemmeno new-wave, della quale non rimane alcuna impronta: è semplicemente una nuova via aperta a generazioni di cantautori, un modo brusco ed impetuoso di raccontare storie intime con un piglio veemente e privo di fronzoli. Forse Federico Fiumani rappresenta, in ciò, un capostipite, l’apripista per i vari Dimartino e Colapesce, Dente e Brunori Sas, ma anche Il Pan del Diavolo e Vasco Brondi, Moltheni e Dente, una bizzarra genìa di songwriters cresciuti sacrificando talvolta la poesia sull’altare di un’urgenza neorealista di tutt’altra fattura e spessore. Personaggio unico che ha sempre fatto dell’immediatezza senza filtri il proprio tratto distintivo, Fiumani punta su un canto diretto, mixato dritto in faccia con foga quasi hardcore, così come su parole sputate addosso all’ascoltatore come schiaffi sonori. Fiumani mette su disco tutto ciò che gli passa per la mente con il suo inconfondibile stile guascone ed un registro canoro tanto riconoscibile quanto, a tratti, sgraziato e sopra le righe: in ossequio a questo principio, ne “Il ritorno dei desideri” convivono fianco a fianco sia brani mirabilmente costruiti ed intrecciati (la psichedelica “Nè meglio nè peggio” offre addirittura un intermezzo tra avantgarde e free-jazz), sia facezie inessenziali (il r’n’r di “Mi fai morire”, il boogie di “Luminosa innocenza”, comunque gradevoli), con testi che spaziano dal consueto, strambo realismo esistenziale (l’up-tempo di “Underground”), ad intime confessioni (“Metropolitana ore 9 e 30”, sulla falsariga di “Pasqua” o di “Caldo”), nella più classica alternanza di bianchi e neri senza grigi nè colori pastello a mediare tra gli estremi. Rispetto ai lavori precedenti è palese l’accuratezza negli arrangiamenti e nella ricerca di un sound meglio definito e più elaborato, essendo le composizioni adatte ad una performance corale anzichè laconicamente solitaria: tracce come “Labbra blu”, “Trattami bene” o “Una stagione nel cuore” vengono così plasmate trasformando classiche ballate raccolte da quattro-accordi-voce-chitarra in episodi perfetti per l’interpretazione di una band, sebbene la furba mascherata tradisca ancora l’impostazione su cui si fondano. Retaggi del passato ed anticipazioni del futuro resistono qua e là in tutta la loro evidenza: la toccante folk-ballad della title-track rimanda alle costruzioni che resero a suo modo grande “In perfetta solitudine”, mentre la dolcezza languida di “Manca l’acqua” è una carezza tanto delicata da far desiderare di perpetuarla all’infinito. Forse l’album migliore partorito da questo inclassificabile e prolificissimo autore, che sa essere talora eccessivo, melodrammatico e ridondante, ma la cui palpitante emotività lo rende un performer istrionico capace di offrire anche lampi di classe geniale. (Manuel Maverna)