RAPHAEL  "Caravane"
   (2005 )

Raphael Haroche, in arte semplicemente Raphael, è oggi un bel trentaseienne con la faccia da eterno ragazzino ed un bel sorriso su un viso pulito, di quelli che affascinano madri e figlie ancora prima che scoprano che il fanciullo sa anche cantare. A trent’anni suonati, nel 2005 il giovanotto scrive e co-produce questo “Caravane”, album che non solo contribuirà a consolidarne la fama già in ascesa, ma che gli frutterà anche un cospicuo incremento del conto in banca e gli varrà un ingresso di diritto nel novero dei più noti chansonnieres francesi dell’ultimo mezzo secolo, avendo raggiunto il milione e mezzo di copie vendute ed avendo stazionato per circa due anni nelle classifiche d’oltralpe. Forte di un intimo nitore che lo pervade, “Caravane” è disco semplice ed essenziale, undici tracce per trentaquattro minuti di musica, una raccolta di schizzi melodiosi curiosamente orecchiabili benchè quasi sempre privi di un ritornello, di impennate, di refrain memorabili; è un lavoro bizzarro, “Caravane”, album che ha saputo divenire un best-seller pur mancando totalmente dell’abusato schema verse-chorus-verse, privilegiando altresì un tipo di scrittura sul modello dei cantautori più tradizionali (strofe di eguale lunghezza introdotte da incipit lirici ripetuti ed inframezzate da brevi contrappunti strumentali). Se da un lato l’espediente giova alla concisione ed alla fruibilità del prodotto, dall’altro tale pregio rischia di trasformarsi nel maggiore limite dell’opera stessa: per guadagnare in immediatezza, il buon Raphael rinuncia smaccatamente ad approfondire e sviluppare i brani, che rimangono più simili a prove, abbozzi, idee, tracce di canzoni appena accennate, concluse prima di riuscire a raggiungere una dimensione più matura ed una intensità in grado di nobilitarle. Il tutto è comunque ben più che piacevole, ma è come osservare un acquarello: i tratti sono magistrali, ma il delicato pallore del colore stenta ad emozionare, si tratti del flamenco sghembo della title-track o dell’irresistibile marcetta di “Ne partons pas fachés”, della toccante atmosfera crepuscolare della struggente “La route de nuit” o della salsa di “Schengen”, pietanze che si lasciano gustare senza sfamare. Album ben scritto ma paradossale, al contempo ricco di idee e povero di arrangiamenti, un sole che illumina senza scaldare. (Manuel Maverna)