VELVET  "Dieci motivi"
   (2005 )

Invano nel corso degli anni i romani Velvet, scialbo quartetto pop, hanno tentato di affrancarsi da un’immagine artisticamente tanto indistinta ed imprecisata da precludere loro una carriera più luminosa e fortunata. Curiosamente, la boutade caciarona della loro più nota hit (“Boy Band”, dalll’album di esordio) ha forse funzionato da arma a doppio taglio, soffocandone le velleità e fustigandone i sogni di gloria, confinandoli infine in un limbo sfuocato tra pop sbiadito e canzonette di poco spessore. “Dieci motivi” è l’album col quale nel 2005 i Velvet, cambiata casa discografica, tentarono con un bluff malriuscito di (di)mostrare la caratura di una rock-band pur senza possederne alcuna caratteristica, rivelando l’impietoso inganno sotteso: purtroppo a volte il rock non è solo questione di chitarre e decibel. Occorrono la testa e la penna, occorrono soprattutto l’attitudine e lo spirito, e poco conta saper suonacchiare e scribacchiare; non bastano un ritornello indovinato (ce ne fosse uno in tutto il disco...) o un po’ di distorsione (“I tuoi guai”, che se non altro prova a fare sul serio, o “Luciano ti odio”, apprezzabile pezzo grunge cantato con la verve di Marco Carta) per ingannare un pubblico già disorientato dalla scarsa focalizzazione del gruppo sugli obiettivi preposti; non basta un discreto lavoro di produzione per dare linfa ad una band appena passabile che non è mai stata nè carne nè pesce, non dei novelli Subsonica nè un’alternativa ai Negrita, men che meno dei redivivi Bluvertigo o dei ritrovati Lunapop. Con testi degni dell’Olmo di Fabio De Luigi, liriche da quarta elementare che trasformano anche Gigi D’Alessio in Paolo Conte (“24h” e “Un altro brutto giorno”, semplicemente imbarazzanti), i quattro narrano storie non interessanti rinunciando ad iniettare in brani insipidi alcun sentimento, si tratti di romanticismo o di rabbia, di introspezione o di tensione. Album inutile e per ciò stesso irritante, senza nerbo nè costrutto, soprattutto senza uno straccio di idea da sviluppare, se non quella di provare ad attrarre ed a raggirare non si sa quali spettatori o estimatori. (Manuel Maverna)