BOB DYLAN  "Modern times"
   (2006 )

Osservando la foto all’interno della copertina di “Modern times”, uno scatto nel quale il Maestro è immortalato insieme ai cinque compagni di ventura che lo hanno accompagnato nella realizzazione dell’album, viene un po’ da sorridere. Pare quasi di vederlo all’opera, questo sestetto di marpioni, intenti a macinare con tutta la consumata esperienza dei veterani un’ora e più di Americana d.o.c., impastando generi e stili ripescati da un passato non così prossimo. Alternando con precisione metronomica boogie furiosi (“Thunder on the mountain”, “Rollin’ and tumblin’”, “The levee’s gonna break”), blues da New Orleans (“Someday baby” avrebbe fatto felice Johnny Lee Hooker), fluidi ballabili swinganti anni ’50 (“Spirit on the water”, “When the deal goes down” – che ricorda un po’ troppo “Wonderful world” ma rimane un gioiello -, “Beyond the horizon”) e qualche ballata assassina che si autocita (“Workingman’s blues #2” sembra “Is your love in vain?”), il vecchio Bob regala dieci zampate d’autore vibrate non solo col mestiere, ma anche con l’anima, in un disco giustamente incensato dalla critica ed ispiratissimo sotto il profilo della ricchezza dei brani e della cura del sound. Con voce insolitamente calda ed arricchita/arrochita dal tempo, Dylan pennella un lavoro che suona in ogni traccia confidenziale e garbato, rispolverando un modo di fare musica quantomeno desueto, ma riuscendo nell’impresa di attualizzarlo grazie alla malìa di arrangiamenti sapienti ed eleganti contrappunti (splendidamente suggestive le parti soliste di chitarra). E’ un Dylan cantastorie che ha molto da dire (nessun brano sta sotto i cinque minuti), un Dylan sornione che in un mood rilassato azzecca tutto senza sforzo apparente, inventandosi dal nulla questa sorta di orchestrina jazz che nell’hortus conclusus di uno studio di registrazione ricrea un pezzettino di storia patria con una grazia ed una maestria illuminanti. Provate ad ascoltarlo quando con voce catarrosa scolpisce l’anomalo country jazzato di “Nettie Moore”, o quando sulle corde di un violoncello dispensa nell’inconfondibile registro nasale che lo ha reso celebre i nove minuti in minore di “Ain’t talkin’”, e realizzerete come per qualche sciamano come l’eterno Bob il tempo sia poco più di un concetto privo di significato. (Manuel Maverna)