MANU CHAO "La radiolina"
(2007 )
Manu Chao è un intelligente artista di strada, finto guitto con molto cervello e tanta passione, genuino entusiasmo, fantasia e talento a sufficienza per portare a spasso per il mondo il suo teatrino itinerante di varia umanità. Da sempre spinto alle crociate da un attivismo militante terzomondista, il piccolo giramondo, armato soltanto di un filo di voce, di una chitarrina per comporre e di qualche gingillo da baraccone per confondere, incanta serpenti, allocchi e discepoli vari col fascino scarno ma luminoso di piccole canzoni tanto semplici quanto popolari. Gli accenti ritmici e la generale baraonda di questa babele virtuale fatta di fiati, percussioni, cori e frenesia da sagra paesana si arricchiscono qui di massicce iniezioni di garage-rock tradizionale, con alcuni episodi (“Rainin in paradize”, “The bleedin clown”) a svettare sugli altri in virtù di una innata godibilità e di un mood sempre incalzante, complice anche il gran lavoro della nutrita band che lo spalleggia. “La radiolina” è quasi interamente cantato in spagnolo – lingua prediletta dal signor Tramor per i suoi legami e rimandi alla cultura gitana – ed oscilla come di consueto tra sketch minimalisti di pochi versi (“Besoin de la lune”, “El kitapena”) e ritmi zingareschi, singalong contagiosi e tristi litanie cicliche, la cui sottile malìa risulta amplificata dalle onnipresenti tonalità minori e dalla potenza evocativa della strumentazione impiegata. Tra il tanto caro reggae (“Politik kills”) e qualche flamenco (“Me llaman calle”, “La vida tombola” dedicata a Diego Maradona), tra una tromba mariachi (“Mala fama”) e frenetiche accelerazioni tribali (“Panik panik”, “El Hoyo”), Manu Chao pennella un affresco tanto chiassoso e colorato quanto disincantato e pessimista del bass paradis latino, formicaio brulicante e traboccante di passioni, violenza, sperequazioni e generale ingiustizia, bilancia truccata che pende sempre da una sola parte, immancabilmente quella sbagliata. (Manuel Maverna)