BAD BLACK SHEEP  "1991"
   (2013 )

Rock, con la "R" maiuscola. Questa è la prima definizione che viene in mente approcciandosi all'album d'esordio dei vicentini Bad Black Sheep. Oddio, "d'esordio" fino a un certo punto: il combo di Filippo Altafini può in effetti vantare 7 anni di vita, esibizioni live in tripla cifra (già sdoganati i primi 100 concerti della loro carriera) e pure due e.p. (il primo, “Mille Miglia Sotto la Norma”, del 2007, quando i ragazzi avevano solo 16 anni!). Ma, se diamo per buono l'assunto della prova d'esordio del giovanissimo trio, va subito detto come il risultato sia straordinariamente positivo. Un muro sonoro di assoluto spessore, ruvido, registrato con un suono quasi live, distorto ma preciso, e allo stesso tempo sufficientemente melodico, che fa da contraltare a testi per nulla banali. Anzi, quando alla fine del cd, o della cartella mp3, spingerete di nuovo il tasto "play" (e lo farete, ve lo assicuro), i successivi ascolti vi regaleranno proprio un'idea testuale di ottima fattura proveniente da questi 12 brani. Ma andiamo con ordine. "1991", innanzitutto: semplicemente l'anno di nascita dei tre ragazzi, ma non solo. Anche l'anno in cui la guerra del Golfo piombò nelle nostre case attraverso le televisioni, e pure l'anno di esplosione della musica grunge, l'anno, per intenderci, di "Nevermind" dei Nirvana. Tanta roba, insomma, come direbbe il lontanissimo (come stile) Fabri Fibra. Ma torniamo ai testi. Il singolo apripista "1991", e pure la successiva "Altrove", godrebbero di ottima vita propria pure disgiunte dagli splendidi ricami sonori, cioè come semplici poesie. "La prima volta il pianto me l'ha coperto il rombo, il lampo delle bombe..."; e ancora "è una fortuna che tu sia lontano, che di te arrivi solo il tuo mercato, buono per i miei vizi quando sono fuori... Lo scambio è pari e il prezzo è prefissato...". Brandelli di poesia, a scalfire una volta per tutte il preconcetto che sia impossibile fare ottimo rock sull'italico idioma. Sciocchezze. I Bad Black Sheep lo fanno, lo fanno bene, e con la loro facilità di scrittura lo fanno sembrare quasi banale. Oltre a "1991", anche "Didone" parla di guerra, dei suoi orrori, e della stupidità intrinseca che risiede nel farla passare come uno strumento di pacificazione. Come male minore in un mondo nel quale, guarda un po', il male peggiore è proprio la guerra stessa. Il nuovo singolo "Radio Varsavia", musicalmente più melodico (pur rimanendo all'interno delle sacre tavole del rock), parla di un negozio di provincia, dove la musica era il centro di gravità, e dove di note si poteva discutere e dalle note si poteva imparare, proprio come dalla vita e dall'amore. Certo, le attuali tecnologie aprono mondi nuovi e rendono tutto più fruibile ed immediato: ma quanta nostalgia per l'intero universo che si racchiudeva entro le quattro mura che, della musica, erano casa e testimonianza. Anche "Igreja de S.Maria" (chiesa di S.Maria) e "Special 50" sono musicalmente più morbide, pur mantenendo la ruvidezza di fondo di ottima proposta rock. Ma, soprattutto, qui si raggiungono i vertici massimi di poesia dell'intera proposta del trio vicentino. Nella prima Filippo Altafini racconta lo smarrimento di una generazione che non trova la fede: "Non abbiamo più neanche il bisogno di colori e di segni, noi da soli nella luce del cielo, quando di nuovo qui, ancora per bere dalla bottiglia più vecchia, verrò ancora per raccontarti quanti sono i capelli che ho perso, e le piccole luci che ho spento...". "Mr.Davis" parla di un musicista da strada ("la mia musica vive a stento tra cappelli vuoti a terra"), su un tessuto rock di ottima fattura, mentre la caustica "1000 miglia sotto la norma" racconta lo sgomento di chi è costretto a vivere al di fuori delle regole imposte dall'attuale momento socio-economico: "Non vi dovete preoccupare del futuro un po' precario, ce lo sapremo poi inventare... Daremo il nostro contributo a distrugger questo mondo, foreste e boschi in un secondo spianeremo in allegria...". Infine, in quest'ottima prima prova va segnalata l'unica cover del lotto, la "Cuccurucucù" di battiatiana memoria, che qui diventa un brano punk rock a-la Green Day, acquistando forza in maniera insospettabile, al punto che, immaginiamo, lo stesso Battiato apprezzerà non poco. Insomma, la pecora nera e cattiva (Bad Black Sheep) vince e convince, e regala senz'ombra di dubbio un roseo futuro a tre ragazzi dalle grandissime potenzialità. (Andrea Rossi)