LEE RITENOUR "Color rit"
(1989 )
“Hard-to-define-music” è un’espressione tipica della guida musicale online Allmusic, usata per quei dischi difficilmente inquadrabili all’interno di un genere preciso. Nulla di più appropriato per definire la vasta opera di Lee Ritenour, chitarrista e compositore americano dotato di un buon eclettismo, che durante la sua lunga carriera esplora le diverse sfaccettature del genere jazz fusion-smooth jazz, anche se all’interno troviamo motivi pop, ritmi funk ma soprattutto le sonorità che provengono dalla nazione che maggiormente sente propria: il Brasile. Dalla fine degli anni Settanta, Ritenour incide numerosi Lp per la casa discografica GRP (acronimo di Grusin/Rosen Production), etichetta all’avanguardia per quanto riguarda la resa sonora attraverso le tecnologie digitali , e specializzata in quel tipo di sonorità jazz contaminate, non apprezzate dai puristi ma neanche allo stesso tempo smaccatamente commerciali. “Color Rit” del 1989 ingloba le migliori idee stilistiche di Ritenour, unite ad una sensibilità brasiliana ormai ben matura. Album ben variegato, presenta arrangiamenti lussureggianti e motivi orecchiabili (diversi brani sono cantati): la strumentazione varia e il connubio tra strumenti acustici, percussioni e tastiere lo rendono davvero una chicca per gli audiofili. Il brano laconicamente intitolato ''E’'' è uno dei più riusciti del disco: cantato in portoghese, è una samba dove la chitarra acustica di Lee e le armonie “brasileire” in sottofondo creano un groove trascinante. ''Mister Reggae'', come suggerisce il titolo, riecheggia sonorità giamaicane in salsa anni ’80, come testimoniano gli accordi di synth in sottofondo. Convincono quasi del tutto i brani interpretati da Philip Perry, cantante di estrazione R’n’B e collaboratore di lunga data: bello il crescendo corale di ''All the same tonight'', che inizia in sordina per poi prendere quota con un ritornello decisamente “soul”. ''Malibù'' e ''I can’t let go'' possiedono un feeling un po’ ruffiano, ma nel mezzo stanno bene, sono ben interpretati e arrangiati. La title track è il mio pezzo preferito, l’unico in cui la parte pianistica riveste ruolo importante nell’economia della canzone: molto trascinante, ricorda lo stile latin jazz di Roberto Perera. Mentre ''Bahia Funk'' si propone come un bell’apripista (è il primo nella scaletta), da ascoltare in doccia sognando Copacabana e Curaçao, l’ancor più riuscito ''Tropical Storm'', non è così “tempestoso” come ci si potrebbe aspettare, ma un bell’esempio di sound caraibico orecchiabile e dalle venature funk. Viene affidato al brano sperimentale ''Etude'', un vero e proprio “studio” per chitarra acustica, il compito di chiudere il disco, dove si ricerca un certo minimalismo ben lontano dal sound esuberante degli altri pezzi. Il titolo riassume bene la caratteristica di fondo dell’album: il colore, perlopiù tendente al giallo e al rosso, ma che assume innumerevoli gradazioni. Unire gli stimoli musicali di una cultura musicale variopinta come quella brasiliana alla sensibilità fusion tipicamente americana da cui proviene Ritenour non è un compito facile, e qui il nostro sembra riuscirci davvero bene, con grande stile ed esperienza. (Alberto Gola)