SQUALLOR "Cambiamento"
(1994 )
Era passato tanto, tanto tempo. Era cambiata l’Italia, e in peggio. Per cui, quando gli Squallor tornarono a incidere, sei anni dopo l’ultimo “Cielo duro”, le loro cose non sembravano più così clamorose, in un mondo che si era portato, in un modo o nell’altro, sulle loro posizioni. Bigazzi poteva mandare in classifica un “Vaffanculo” senza bisogno di attribuirlo alla sigla Squallor, per intenderci, e certe vicende raccontate nei dischi precedenti (pensiamo a “Carceri d’oro”, 1988) si erano verificate, papali papali. Insomma: c’era già troppo squallore vero, attorno, per andare a chiedere quello virtuale agli Squallor. Che, menomati (Totò Savio, per problemi di salute, non mette voce nel disco), epitaffiano con un lavoro forse un po’ stanco, in certe tematiche, ma che racconta tante altre piccole cose. Scopriamo ad esempio a chi apparteneva il “toro nelle mutande”, nel ritorno di “Berta”. Scopriamo altri altarini in “Mafia”, e scopriamo che fine ha fatto Pierpaolo, diventato discotecaro con qualche problema di fedina penale, quasi a voler seguire il babbo. Ma i guizzi migliori arrivano con il sostituto di Savio: Gigi Sabani, la cui voce firma tre delle cose migliori di questo disco. L’imitazione di Julio Iglesias in “Preservame atù”, l’interpretazione di “Filumena” ma, soprattutto, la clamorosa parodia vascorossiana di “Alba chiava”, che forse è meglio di tanta roba edita dal vero Vasco negli ultimi 20 anni, e che è il miglior addio degli Squallor dopo quasi 20 anni di meraviglie. Certo, resta un disco troppo distaccato dalle opere precedenti – anche la copertina, che in origine doveva ricordare un Bossi nudo, diventa quasi anonima – e che non riesce ad entrare di soppiatto nelle classifiche come tutti gli altri lavori, specie in un’epoca dove la musica demenziale, chi bene e chi male, la stavano facendo tutti. Ci sarà successivamente qualche raccolta, a cercar di mandare la sigla in discoteca, ci sarà la riscoperta del trash come fenomeno culturale. Ma per mantenere il toro nelle mutande, basta andare a riscoprire quello che c’era prima. (Enrico Faggiano)