WHITETREE "Cloudland"
(2009 )
Scegliete un titolo: “Scontro tra titani”, oppure “l’attesa collaborazione tra chi ha reinventato la ricerca della profondità nella musica classica contemporanea e chi lo ha fatto nella scena musicale elettronica”, oppure, un classico, “il miglior disco del 21° secolo”. Beh, per “Cloudland” ognuno di questi titoli è vero fino in fondo, ma il miglior titolo potrebbe essere il seguente: “I fratelli Robert e Romald Lippok, insieme a Ludovico Einaudi, hanno creato un album davvero speciale che merita sia la nostra più completa attenzione, sia che noi gli apriamo il nostro cuore”. “Cloudland” prende ispirazione dal racconto di Amos Tutuola ”The Palm-Wine Drinkard“, e vuole essere una prova di resistenza contro il freddo e frenetico pulsare del nostro presente tecnologico. Certo è sicuro anche che ”Cloudland" non è il primo tentativo di mettere insieme i beat elettronici con la musica classica. Precedentemente anche Carsten Nicolai ha collaborato con Ryuichi Sakamoto, e Carl Craig con Moritz von Oswald hanno iniettato la techno nel Bolero di Ravel. Ma, soprattutto, oggi possiamo contare su una nuova generazione di musicisti che si trova a suo agio sia con la tastiera del proprio laptop che con gli strumenti classici. Nonostante questo, “Cloudland” è un album unico, dotato di una immediatezza ed uno spessore che solo l’incontro ispirato e il reciproco scambio tra questi artisti eccezionali poteva dare. La spiegazione del perché è abbastanza ovvia e risiede nel fatto che i Lippok non sono i classici compositori elettronici, così come Einaudi non è un compositore classico nel comune senso del termine. Si tratta di artisti che sfuggono alle regole di classificazione tra generi e scene musicali. I Lippok con il progetto ''To Rococo Rot'', insieme a Stefan Schneider, non solo hanno aperto la strada ad una nuova concezione di musica elettronica, attraverso dischi di grande spessore, in cui il loro sound si è contaminato con un vastissimo spettro di sonorità elettroniche, ma sono riusciti ad imporsi anche grazie al personalissimo stile del batterista Ronald Lippok, vero e proprio marchio di fabbrica del loro sound. E’ stata questa loro peculiarità a colpire Ludovico Einaudi, che ha assistito anni fa ad un loro concerto a Milano. “Mi piacque il loro concerto, mi ricordo che fui impressionato dall’interazione tra il live drumming di Ronald e l’elettronica di Robert. Andai nel camerino e scambiammo poche parole dicendo che forse avremmo collaborato insieme, un giorno”. Ludovico non è certo estraneo con l’elettronica, avendo da sempre tratto ispirazione da esperimenti con nastri trattati e da manipolazioni dello strumento. In lui l’idea della collaborazione si fece strada fino a che nel 2006 contattò i Lippok per realizzare un tour italiano. Dopo una settimana di prove tutto era stato già messo a punto e seguirono due settimane di concerti tutti esauriti in giro per l’Italia. L’esperienza più che positiva portò a delle registrazioni in studio e fu scelto il Planet Roc a Berlino, gli studi radio della ex Berlino Est, noti per la loro splendida acustica. “Abbiamo sempre suonato dal vivo, come una band” dice Robert Lippok. “Solo qualche sovraincisione, perché volevamo che il suono fosse il più naturale possibile, ma la fase di missaggio è stata molto dura perché avevamo così tante registrazioni tra cui scegliere”. “Tutto è venuto fuori in modo naturale” - aggiunge Ludovico. “Ascoltando i loop ed il suono di Robert e Ronald, mi perdevo nel nostro suono senza capire a volte chi stava suonando cosa. Era come costruire i castelli di sabbia. Senza regole, tutto era possibile”. In “Cloudland” i tre musicisti hanno saputo fondere alla perfezione i loro talenti personali. Il risultato è unico e profondo e oscilla tra le atmosfere rarefatte ed un suono dal potente impatto. Il sound dei Whitetree è sempre l’incontro del genio creativo dei tre, non c’è un solo brano del disco in cui si può riconoscere la mano di uno dei tre compositori più degli altri. “Sono un batterista” dice Ronald, “e so bene come gestire il suono potente. Sono rimasto sorpreso dall’energia sprigionata dal piano di Ludovico. Non avrei mai immaginato che il piano potesse essere uno strumento così potente”. Robert Lippok aggiunge: “Avevo sempre desiderato collaborare con qualcuno che aveva un background accademico, con un approccio diverso dal nostro. Non avevamo lavorato mai con melodie così definite. Quando Ludovico si sedeva al piano era pura energia ed il nostro album vive di questo aspetto fisico. Il nostro sound è a volte molto forte e a volte è delicato, ma è sempre aperto e vitale”.