SIMPLE MINDS  "Graffiti soul"
   (2009 )

Ad un certo punto, forse, Jim Kerr si infurierà, e tirerà qualcosa addosso a tutti. D’altra parte, è da una vita che si sente ripetere le stesse cose. Ovvero, che i suoi Simple Minds sono una adorabile incompiuta, che potevano essere e invece non sono, e che ogni disco lascia l’amaro gusto dell’interruptus. Gli capita dal giorno dopo aver inciso “New gold dream”, capolavoro della new wave anni '80, quando riuscì a mischiare, miracolosamente, sia la freddezza dell’elettronica con il calore di brani passati tutti alla storia, commerciali ma intensi, sintetici ma con una vena rock. Poi, la lunga via nel deserto, virando verso il rock da stadio quando altri (gli U2) lo facevano meglio di tutti, e cercando poi un ritorno alle radici che non ha mai convinto né gli amanti di “Someone somewhere”, per intenderci, né i cultori di “Mandela day”. Ma loro continuano a provarci, incuranti delle pagelle che appioppano il classico 6- con accanto il commento “potrebbero fare di più ma non si applicano”. Questo nuovo lavoro vive gli stessi alti e bassi di tante altre cose a loro nome, dove la ricerca di un certo rock cupo con spizzichi di elettrofunk accarezza ma non riesce ad appassionare l’ascoltatore, che ormai da 20 anni non sa cosa aspettarsi dal siculo Jim e dai suoi fedeli compagni di viaggio. Eppure, qualcosa di buono c’è, come l’iniziale “Moscow underground”, che richiama le cose migliori della band, ma è come l’attaccante che spara 3 gol alla prima di campionato, e poi vivacchia bollando ogni tanto, ma senza mai dare vera impressione di continuità. Il problema, forse, è che i SM sono sempre stati un gruppo freddo, quasi distaccato dal resto del mondo, non sempre capaci di trovare, nelle loro composizioni, il “gancio” che potesse far appassionare l’intero popolo ascoltatore. Ci sono riusciti con “New gold dream”, ci sono riusciti con i – più facili – lavori da inno corale di “Once upon a time”, ma da quel giorno non hanno più capito dove andare a parare. Piacerà, il disco, perché chi ci ha messo le mani è ormai una sigla storica del pop-rock degli ultimi 30 anni, e perché la sigla SM attira ancora, e non poco. Ma non si arrabbi Jim, dalla sua Taormina, se l’idea è sempre quella della crisalide che non riesce a farsi farfalla. E il problema è sempre quello: chi sono, i SM? Quelli usciti dalle cupezze scozzesi dei primi lavori, o quelli che riempivano gli stadi con i loro slogan politici? Però esistono ancora: nel dubbio, meglio così. (Enrico Faggiano)