BACHI DA PIETRA "Tarlo terzo"
(2008 )
Il nuovo lavoro dei Bachi da Pietra muta senza tradirsi. In ''Tarlo terzo'' Bruno Dorella (già batterista dei Wolfango, oggi Ronin e OvO) e Giovanni Succi (ex Madrigali Magri) cercano nuove soluzioni sonore per continuare a raccontare con lucidità senza pari le condizioni del vivere contemporaneo e trovano una metamorfosi ideale e inevitabile, che dopo i blues arcaici brulicanti humus e metallo di “Tornare nella terra” (2005) e “Non io” (2007) – entrambi considerati dalla critica tra le uscite discografiche più interessanti degli ultimi anni – si avvia qui verso atmosfere più notturne e urbane. La formazione rimane invariata (la batteria ridotta all’osso di Dorella; le corde del cantante Succi, anche autore dei brani), a cambiare è però il lavoro sui suoni, alle cui tonalità scure dei lavori precedenti vengono aggiunte suggestioni livide e grigiastre, gli stessi colori che si possono incontrare durante una passeggiata notturna in una metropoli moderna dove il silenzio viene riempito da sguardi e pensieri (entrambi implacabili) su di sé e sul mondo. E metropolitano è il mood della maggior parte dei brani, dall’hip-hop waitsiano della marziale ''Servo'', passando per la tensione techno-acustica di ''Mestiere che paghi per fare'' fino al dub di ''Seme nero'' e all’elettronica-nonelettronica di ''I suoi brillanti anni ’80'', dove il lavoro su timpano e rullante di Dorella e del fonico Ivan Rossi maschera in fattezze da trance electro un pezzo in realtà interamente suonato con batteria e basso acustico, senza sovrincisioni. Ma anche quando il richiamo ai lavori precedenti è più diretto, e l’impronta più visceralmente blues (''Lina''), rimane comunque un odore di nebbia e asfalto a segnare il tutto, come nella sferragliante ''Lui verrà'' o nella chiusura di ''Per la scala del solaio'', in cui la chitarra acustica e la voce di Giovanni Succi hanno ancora una volta quella consistenza “organica” che è uno dei marchi di fabbrica dei Bachi da Pietra. Proprio la voce di Succi, insieme alle parole, è infine il nucleo generativo delle tracce di “Tarlo Terzo”. I versi degli undici brani del disco sono frutto di un enorme lavoro “contadino” – per citare i versi dell’Indovinello Veronese in apertura del booklet – che all’ispirazione del momento fa seguire la fatica dell’aratro che passa e ripassa sulla terra fino a tracciare un solco profondo. Lo stesso lasciato dalla riflessione esistenziale di ''Dal nulla nel nulla'' o dall’amaro sarcasmo di ''Fosforo Bianco Democratico'', in cui si incitano i paladini del mondo occidentale democraticamente evoluto a spargere indiscriminatamente napalm sui nemici della civiltà, con riferimento alle stragi di civili di Falluja nel novembre 2004, liquefatti nella notte dalle armi chimiche di distruzione di massa a stelle e strisce (nome in codice: Willie Pete). Un baco nella memoria di un sistema fatto per dimenticare non può che riportare alla luce. E’ così che il Baco scava la pietra, ma anche l’asfalto e i sistemi tecnologici, lasciando dietro sé un buco nero nel quale immergersi è tanto straniante quanto assolutamente vitale.