ZUCCHERO FORNACIARI "Live in Italy"
(2008 )
Con la seconda raccolta in due anni (pur se questa è dal vivo) e il terzo album in tre (“Fly” settembre 2006, “All the best” novembre 2007 e adesso “Live in Italy”), Zucchero Sugar Fornaciari non si è fatto mancare nulla: una tournèe che ha esplorato in lungo e in largo il pianeta (“Anche alle isole Mauritius dove non pensavo proprio di avere dei fans”) con una band straordinaria al seguito (l’inossidabile David Sancious alle tastiere, Mario Schilirò alla chitarra, Polo Jones al basso e la “drum machine” Adriano Molinari; a questi si aggiungano i fiati dei vari James Thompson, Eric Daniel, Massimo Greco, Beppe Caruso e una chitarrista rock d’eccezione, Kat Dyson). La raccolta “Live in Italy” in realtà è il resoconto musicale di due serate diverse: una, quella dell’Arena di Verona che ospitava il “Fly tour” e seguiva di poche settimane la scaramuccia estiva a Cala Volpe, l’altra per l’”All the best tour”, che vedeva San Siro trasformato in un teatro gigante. È importante quindi procedere per gradi: corre l’anno 2006 quando, a fine settembre, Zucchero presenta a Venezia il suo ultimo disco di inediti prodotto dal leggendario Don Was, “Fly”. L’album era già stato presentato alle radio con il singolo apripista “Bacco perbacco” e ciò che caratterizzava fin da subito il nuovo sound era un apparente ritorno a suoni più ruvidi, con meno elettronica sullo sfondo. “Fly” è un album controverso: manca d’ispirazione nei testi ma le musiche convincono, nonostante i soliti “prestiti” di cui Zucchero si indebita e che nessuno manca mai di ricordare (“È delicato” somiglia a “Speed of sound” dei Coldplay, “Occhi” ricalca alla perfezione “Hideway (wish I could)” dei Creedence Clearwater Revival; hai ascoltato “Stuck in the middle with you” degli Stealers Wheel? Non ti sembra identica a “Bacco perbacco”? E “Un Kilo” che è uguale a “The Seed 2.0” dei Roots. E tutto questo soltanto per un album!). La particolarità di quest’ultimo disco, però, è un piccolo gioiello che non vede la luce in Italia ma soltanto nelle edizioni internazionali in lingua inglese di “Fly”: la canzone si chiama “Nel così blu” ed è una cover di “A Salty dog” dei Procul Harum, con un Pasquale Panella (sì, quello dell’ultimo Battisti che odiate) strepitoso ai testi. Perché soffermarsi su questa canzone in particolare? Perché in realtà narra di uno sviluppo degli eventi. Un anno più tardi infatti, in occasione della presentazione di “All the best” (secondo Best Of in dieci anni), Zucchero sfodera cinque inediti di cui quattro cover songs (“Tutti i colori della mia vita” è “I won’t let you down” dei Ph.D, “Wonderful Life” è di Black e “You are so beautiful” di Billy Preston, assieme alla già citata cover dei Procul Harum, “Nel così blu”). Un’introduzione era necessaria per capire da dove nascono le serate raccolte in questo “Live in Italy”. Delle tre notti all’Arena di Verona, quella raccontata nel primo DVD risale al 23 settembre del 2007 e chi vi scrive c’era, quindi in pochi meglio di me sapranno raccontarvi pregi e difetti della trasposizione in video. Partiamo dai difetti: scoprirete, se siete dotati di un minimo d’orecchio musicale, che qua e là ci sono correzioni a posteriori fatte in studio. Ma se queste correzioni sembrano inutili in “Menta e Rosmarino” (in quell’occasione, Zucchero cantava e scherzava col pubblico, non c’erano stonature o altro) perché invece non farle di una canzone come “Bacco perbacco”, dove la voce di Zucchero sembra tramutarsi in quella di Giusy Ferreri? Misteri della produzione. Certo è che l’intro eseguita col sitar è veramente di un’altra categoria. Menzione a parte meritano “Dune mosse” con la tromba di Miles Davis in sottofondo, “L’amore è nell’aria” in cui David Sancious fa i miracoli alle tastiere, e la riscoperta di un piccolo gioiello dell’epoca di Miserere: “It’s all right”. Le cover suonano benissimo e la voce di Zucchero è matura abbastanza da sostenerle (“Indaco dagli occhi del cielo” e “Nel così blu”), mentre non si capiscono gli effetti della telecamera sulla bellissima “È delicato”, scritta a quattro mani con Fossati, che rallentano l’immagine come se stessimo guardando “Quelli che il calcio” su un effetto bianco e nero incomprensibile: insomma, come rovinare un piccolo capolavoro che non ha bisogno di ornamenti. Lo spettacolo finisce con Zucchero in mezzo alla folla, di fronte al palco dell’Arena, che canta “You are so beautiful”, canzone che l’ha fatto concorrere per un Grammy Award assieme a Sam Moore e Randy Jackson, tra gli altri. La serata allo Stadium Theatre di San Siro, 14 giugno 2008, inizia con una strepitosa “Tutti i colori della mia vita” e finisce con una nota di demerito: Gerry Scotti che canta in duetto con Zucchero su “Per colpa di chi?”. Forse, se siete arrivati fino a questo punto della vostra lettura, vi sarà già venuta voglia di buttare il computer per terra e calpestarlo finché non l’avrete ridotto in polvere. Non fatelo, anche se posso capirvi. Perché non farlo? Perché rimangono ancora due sassolini nelle scarpe che l’autore si deve togliere: innanzitutto, l’idea fallimentare dello Stadium Theatre, il teatro nello stadio. Uno cosa fa? Compra il posto a sedere, ovviamente: non esiste parterre. Ma già dalla quarta canzone in scaletta, metà del “teatro” è sotto il palco che balla, e non potrebbe essere altrimenti. Con il risultato che l’altra metà meno attenta ha due scelte: o restare per un picnic o insultare l’altra metà più sveglia, con il personale di sicurezza impegnato a rimandare i più scatenati al posto. Secondo, perché non inserire nel disco anche brani come “Miss Mary” scritta da Elvis Costello (una ballata al piano fantastica) e l’intensa “Iruben me”, piuttosto che tre inediti strappalacrime, tra cui un’altra cover (“Sympathy” dei Marillion) e la mai troppo biasimata “Una carezza” in cui il Nostro si dimentica l’uso del present continuous? In buona sostanza, “Live in Italy” nulla toglie e niente aggiunge a un performer di qualità come Zucchero, sempre in bilico tra una suggestione e l’altra (prima il suono ruvido, poi le cover e adesso il concept anni settanta) e che, inevitabilmente, trova ancora il successo meritato nell’unica particolarità che oggi sembra voler rinnegare: la voce calda, soul, di canzoni come “Rispetto” o “Hey man” che tutto il “teatro” nello stadio canta, a differenza di “Una carezza” e un’interpretazione da pantofole. Dovete acquistare “Live in Italy”? Solo se dovete rifarvi le orecchie. (Vittorio Tovoli)