MAKAKO JUMP  "Lasciate la mancia al portapizze"
   (2008 )

Il quesito che ci si può porre, in fin dei conti, è se le sonorità reggae e ska, così tanto facili al primo ascolto e portatrici di visioni e illusioni estive, non riescano mai a fare una reale breccia nel commerciale e, quindi, nel mainstream. Eppure, specie quando fuori fa caldo, le radio cercano disperatamente qualcosa che possa far pensare al sole, al mare, e ad una bibita (fate voi, io sono astemio) accanto alla propria amaca. Forse perché, in realtà, da sempre chi sceglie questa via musicale non la accoppia a tematiche in stile “muovi il culo, yeah yeah” come tanto va di moda oggi, ma preferisce dedicare brani ad Emergency, parlare del precariato e, avrete capito, di cose che non fanno immediatamente audience. I triestini Makako Jump vanno a seguire il buon filone degli Africa Unite o dei Vallanzaska (non per niente tra gli ospiti di questo disco) in un’ora di musica che alterna reggae e ska, intensità di vedute (“Attenti all’uomo bianco” in primis) e blanda leggerezza (“Agosto”, che poi a sentirla bene leggera non è), omaggi ai Negrita con la cover di “A modo mio” e stordimenti beatlesiani, dub-bati in “Eleanor Rigby”. Basseggia anche Faso degli Elio e le Storie Tese, anche lui diligentemente in coda per portare il suo contributo al lavoro, e alla fine la risposta al quesito iniziale, ovvero “come mai le radio spesso rimbalzano ‘sta roba”, diviene facile facile. Perché quando si propongono pezzi come “Precario” o “Discarica” si può diventare piano piano eroi da festival estivo e da neverendingtour – e loro, come chilometraggio, dicono di aver già toccato i 5 zeri – ma non certo da easy broadcasting. Ci può riuscire Giuliano Palma con una delle sue mille cover, difficile quando si vuol prendere la via più intensa. Ma ai Macachi sembra importare poco, sognano la loro “Ferrari a Malibù” finendo in commissariato, interpretano dialoghi tra impiegati precari e megadirettori, divertono e fanno divertire: si può vivere anche senza classifiche, e c’è anche il tempo per lasciare, appunto, la mancia al portapizze. (Enrico Faggiano)