MATIA BAZAR  "Aristocratica"
   (1984 )

"Chiedi chi erano i Matia Bazar". Chiedilo a una ragazza di 15 anni di età, chiedilo chi erano i Matia Bazar. Perchè ora si rischia di avere in mente quella strana orchestrina da balera, che cambia voce ogni anno, e che è ormai diventata sinonimo della più insipida canzone sanremese: loro si presentano all'Ariston, e vengono dimenticati prima ancora di terminare la loro interpretazione. Oppure, per chi è un aficionado dei karaoke, possono tornare in mente quelli di "Stasera che sera" o di "Mister mandarino". In mezzo, però, ci fu una fase in cui i ragazzotti genovesi, ben ispirati dall'addizione di Mauro Sabbione, divennero quasi da un momento all'altro la più alta rappresentanza di technopop italico: si era partiti da un "Berlino Parigi Londra" a far da prodromo, ci si era esaltati con il best seller "Tango", e si proseguì con l'algido futurismo di questo "Aristocratica", magari di minor successo ma pietra miliare per la nemmeno particolarmente cospicua scuola dell'elettronica all'italiana. D'altra parte, all'epoca, qualsiasi connazionale volesse lavorar di tastiere e vocoder preferiva buttarsi nella dance, nelle produzioni smaccatamente da discoteca, senza cercar altre cose. E, il coraggio di affiancare sintetizzatori all'italico idioma, quello, ancora non c'era. O, se c'era, era per pochi. Loro trovarono una formula molto particolare, con testi ermetici al limite del nonsense (se mi sapete spiegare "per te maschera di giada / per te olografia di strada / per te batuffolo di lana / la paura di un tranquillo fine settimana" vincete la mia collezione dei Modern Talking), stilettate intrise di sonorità quasi anni '30, e la voce di Antonella Ruggiero a far da ciliegina su di una torta che, di solito, accanto alle tastiere univa cupe voci maschili e poco altro. Ci si aggiunse anche Garbo, a dar ancora più eleganza ad un lavoro che non aveva, tra le varie "Sulla scia", "Hellzapoppin", "Carmen" e "Milady", quei ganci commerciali che avevano fatto il successo delle precedenti vacanze romane e dei precedenti elettrochoc. Però, potevano venire dal mondo anglosassone a prendere lezioni di elettronica, da questi nostri eroi: "Logica attenuante", cantata in inglese, avrebbe fatto saltare sulla sedia gli Ultravox o i primi Tears For Fears, per intenderci. Sarebbe poi arrivata, l'anno dopo, una "Ti sento" a far quadrare il cerchio tra synth e hit parades, quando però l'onda di ghiaccio elettronico dei Matia Bazar stava, lentamente, perdendo quota. (Enrico Faggiano)