MAUVE  "Kitchen love"
   (2008 )

Sembra fuoriuscire dalla brughiera irlandese l’ultimo lavoro dei Mauve, gruppo nato nel 2005 e prodotto dalla piccola etichetta “indipendente” Canebagnato Records. “La nostra musica si può definire un 4/4 lentissimo”: così affermava Roger Waters molti decenni fa, e pare che l’aura floydiana abbia ispirato molti passaggi strumentali della band piemontese, in bilico tra una psichedelia allucinata e un post-rock glaciale. Gli stessi titoli dei brani dimostrano l’ambizione intellettuale dei Mauve di ispirarsi a suggestioni visive ('Electronic scales', 'Edimburgo mega-panda', 'Canterbury'), e soprattutto di realizzare un album che ricerchi l’atmosfera più che la melodia, pescando a piene mani (ma con disinvoltura) nell’immaginario musicale anglosassone. I brani strumentali sono probabilmente quelli che esemplificano meglio il sound della band, sommesso, nervoso e molto effettistico; digressioni psichedeliche e atmosfera rarefatta. L’album dei Mauve non è certamente facile; raccogliendo varie influenze stilistiche, dai già citati Pink Floyd all’indie-rock più recente e fresco, è un lavoro che si presta ad un ascolto “unitario”. E' ideato più come un concept album che come una raccolta di canzoni. Talvolta può risultare leggermente monocorde; ma è proprio questo l’intento della band, quello di rinunciare all’orecchiabilità dei singoli pezzi per esprimere il proprio personale universo musicale, onirico e surreale. I brani sono cantati sia da Carlo Tosi che da Elda Bonfanti; lo stile canoro “distante” e un po’ freddino di entrambe le voci si adatta bene al clima generale dell’album. 'Kitchen Love' non è un disco da ascoltare sotto l’ombrellone o ad un ritrovo con amici; le ambizioni della band non sono da poco, e c’è da dire che i passaggi più semplici sono a volte meglio riusciti e più scorrevoli. Mancano sicuramente pezzi in grado di “spezzare” la tensione dell’album; ma è degno di nota il bagaglio musicale che i Mauve fanno proprio e cercano di esprimere secondo il loro peculiare stile. (Alberto Gola)