DEAD OR ALIVE "Sophisticated boom boom"
(1983 )
Ah, bei tempi. Si andava alla ricerca di qualsiasi cosa che facesse scena, che restasse negli occhi ancora più che nelle orecchie: i new romantic, i postpunk, i sorcini d'Albione. Tutto, purchè se ne parli, quindi. Anche di questi Dead Or Alive, che avevano iniziato con altro nome ("Nightmares in wax", cercatevi la robusta "Black leather") e che non sapevano bene, ancora, se dedicarsi al pop o al dark - d'altra parte se una loro costola, Wayne Hussey, andò a foraggiare i Mission, un motivo ci doveva essere. Peraltro, quello era un momento in cui non era facile trovare la retta via, e tanti gruppi agli esordi in fondo in fondo si assomigliavano anche un po', dato che spesso la fonte era la stessa: per informazioni, andatevi a prendere gli esordi dei Simple Minds, o dei Depeche Mode, o degli Spandau Ballet, o dei Duran. Quando con una tastiera, e una voce bella cupa, si cercava di scalare il mondo, prima di capire se dedicarsi anche a lacche, a cupezze o a video girati a Sri Lanka. Pete Burns sembrava nascere sotto una cattiva stella, perchè quando arrivò all'esordio discografico tutti parlarono di un clone di Boy George: lui, che dell'androginia e delle stranezze ne aveva già fatto Bibbia personale da un bel po' di anni prima. Però Giorgino aveva trovato il jolly da classifica con leggero anticipo, e quindi l'occhio di bue aveva girato prima su quell'altro, che non su di lui che già da un po' cercava di esplodere come popstar. E, quando venne dato alle stampe questo disco d'esordio - notare la copertina!!! -, non è che ci si strappo' le vesti. 40 minuti allo stesso ritmo, appunto il "boom boom sofisticato" di cui si parlava nel titolo, con una cover di "That's the way I like it" non esattamente da brivido a coprire, forse ingiustamente, un lavoro comunque interessante, utile per quando magari si è in bicicletta, e si cerca un timer che scandisca, costantemente, le pedalate. Da "What I want" a "Misty circles", da "Nothing" a "Wish you were here", tutte cose un po' difficili da distinguere, ma che sono poi meno peggio di quanto possa sembrare di primo ascolto. Fino alla conclusiva "Far too hard", forse l'unico brano moderatamente malinconico della - comunque - lunga carriera dei Dead Or Alive. Il prodotto non era da buttare via, ma lui voleva il primo posto in classifica, anche per farla pagare a quell'irlandese truccato che raccontava di Camaleonti e di Vittime. Alla prossima, magari. (Enrico Faggiano)