STEFANO GIACCONE  "Come un fiore"
   (2007 )

Se lo scorso anno "Tras os montes" ci aveva fatto gridare al miracolo (fu, in effetti, uno dei dischi migliori di tutto il 2006), è inutile nascondere che dietro questo nuovo lavoro di Stefano Giaccone ci fossero un bel po' di legittime aspettative e di malcelata curiosità. Tanto per cambiare, invece, Giaccone spiazza tutti. Come, a ben pensarci, ha già fatto più volte nella sua lunga carriera. Stavolta, tanto per cominciare, ha messo insieme un vero e proprio ensemble, lavorando per questo disco con personaggi, tutti dell'area indipendente italiana, come Tomi Cerasuolo e Gigi Giancursi (cantante e chitarrista dei Perturbazione), con i cuneesi Airport Men, con il "solito" Dylan Fowler (ormai sempre al fianco di Stefano), e pure con gli Art ed Ale Malaffo (dei Gusci di Lumaca). Non ci ha lavorato insieme, con questi artisti, nel mero senso che si è fatto aiutare: ha proprio realizzato, in tutto e per tutto, questo lavoro insieme ai summenzionati personaggi, al punto che in copertina i loro nomi appaiono tutti, alla pari. Al massimo, Giaccone accetterà il ruolo di capobanda, per questo disco, ma forse nemmeno quello. In secondo luogo, questo nuovo cd spiazza per le tematiche: si tratta infatti di un concept album sull'argomento della... morte. Senza ironia, è probabile che già questo allontani un bel po' di gente. Nel booklet interno sono riportate parole illuminanti di Laurie Anderson, che sull'argomento qualche tempo fa disse: "Nessuno parla di morte, alla gente piace leggere di uccisioni ma non di morte. Compriamo sempre più roba, ma perché ne abbiamo bisogno se dobbiamo morire?", aggiungendo, liberatoria, una bella risata. E' proprio così, l'argomento della morte è schivato bellamente da sempre. E', invece, con entusiasmo, che stavolta gli artisti appena elencati hanno aderito all'invito di Stefano Giaccone, elucubrando e trasferendo in musica il concetto stesso di morte: che sia per droga, per solitudine, per violenza o per fame, il distacco ci rende tutti uguali. E', a ben vedere, il momento più democratico delle nostre esistenze, dove ricchi e poveri, belli e brutti sono appaiati senza distinzioni. Nonostante la durezza dell'argomento, non ne è uscito per niente un disco pesante. Grave forse sì (nel senso di serio, posato, solenne, non di certo rischioso o pericoloso), ma pesante proprio no. La gravità, appunto, degli argomenti trattati ha, come splendido contraltare, la leggerezza della scrittura e degli arrangiamenti. Già il brano iniziale "Cielo", con uno splendido solo di sax, ci introduce in un disco che è impossibile non amare. E che farà parte delle vostre vite, se solo glielo permetterete. Così come la morte stessa fa parte delle nostre vite. (Andrea Rossi)