HOWARD JONES  "Dream into action"
   (1985 )

Gli girava tutto bene, anche se all’ultimo momento la sua “Like to get to know you well” venne bocciata all’esame di ammissione: doveva essere la sigla delle Olimpiadi 1984, le venne preferita la tamarrissima “Olympic fever” dei Passengers (chiaramente non quelli di Bono e Pavarotti, ma un gruppettino in stile Boney M passato anche da Sanremo). Scelta scellerata, perché la canzoncina che Howard Jones cantava in varie lingue fu un successo. Purtroppo non inserita nell’album che seguì il fortunatissimo “Human’s lib”, e che comunque aveva al suo interno gli stessi temi, e le stesse strade aperte verso il successo. Altra serie di singoli che vennero facilmente adottati dalle radio? “Things can only get better”, “Look mama”, “Life in one day”, fino alla re-incisione di “No one is to blame”, con collaborazione di prestigio in un Phil Collins che all’epoca era veramente un Re Mida. Salutato anche dal Live Aid, da lì iniziò però la sua parabola discendente, mentre il mondo della musica iniziava a stancarsi delle tastiere elettroniche, e di chi costruiva castelli in aria su un sintetizzatore. Meglio campionare, si diceva. Ma anche l’Howard non fece tanto per portare prove a suo carico, dato che l’ispirazione calò. Si riciclò addirittura a Sanremo, quando nel 1991 miagolò una poco convinta versione inglese di “Gli altri siamo noi”, di Umberto Tozzi. Negli ultimi anni, qualcuno disposto a vederlo in tour lo ha sempre trovato, in clima di revival. A patto che non canti “Other people are us”… (Enrico Faggiano)