SIMPLE MINDS  "Street fighting years"
   (1989 )

Un album live (“In the city of light”) che non divenne una pietra miliare, tanti anni di silenzio, poi nel 1989 i Simple Minds tornarono in pompa magna, magna, magnissima. Ma in una direzione sempre più lontana da quella iniziale. C’era stato il rock da stadio, ora si passò totalmente al rockpolitik. Anticipato da un extended, “Ballad of the streets”, che fece conoscere canzoni dai cui titoli ben si evinceva la svolta impegnata della banda (“Belfast child” e “Mandela day”), l’album girava tutto attorno a concetti di alto contenuto intellettuale, anni luce dalla new wave iniziale. C’era Lou Reed a duettare in “This is your land”, c’era una promozione titanica, ci fu un tour da tutto esaurito. Ma ci fu anche un problema, piccolino piccolino, ma decisivo: il rock impegnato da stadio, già da qualche anno, veniva meglio ad un gruppettino, piccolino piccolino, che guardava la Scozia affacciandosi dal canal d’Inghilterra. E, pur provandoci, Jim Kerr non aveva il carisma di Bono e degli U2. Toccato il sole, le ali d’Icaro si sciolsero, e i Simple Minds hanno passato il resto della loro carriera a cercare di tornare indietro alle radici, con troppi passaggi a vuoto (“Real life” o “Cry”) che hanno sporcato la credibilità delle cose migliori, come il più recente “Black or white”. Peccato. (Enrico Faggiano)