GELBART "Liquids & flesh"
(2025 )
Diciamolo subito: Adi Gelbart è uno dei più interessanti compositori contemporanei che abbia incontrato finora. La sua ricerca è quantomai attuale. Le intelligenze artificiali stanno realmente minacciando l'uomo? Siamo davvero a un punto di svolta, quello immaginato da almeno un secolo di letteratura e cinema?
Il titolo “Liquids & Flesh” può far pensare a un film di Cronenberg, col suo body horror a base di nuova carne e sostanze liquide spaventose. Ma non c'è questo, nel nuovo album di Gelbart uscito per l'etichetta da lui fondata, la Egglike. C'è più un'inquietudine psicologica, generata da una voce umanoide che compare più volte, accompagnata dal tanto entusiasmo “analogico” degli strumenti manuali. Tutto è suonato da Gelbart stesso: sintetizzatori, clavicembalo, clarinetto, clarinetto basso, tromba, flicorno, corno baritono, sassofoni, violoncello, contrabbasso, mini glockenspiel, salterio, percussioni, drum machine ed elettronica.
In “I.M.”, gli arpeggi elettronici rapidissimi sono affiancati ad una melodia di archi all'unisono dal sapore mediorientale. Gli accordi aperti di “The New Rain”, assieme alla drum machine contribuiscono a creare un clima lounge sui generis, suoni rilassanti per un andamento che invece rilassato non lo è mai. Le progressioni nelle composizioni sono continue, è quasi impossibile trovare un vero e proprio “ritornello”: stiamo a metà tra l'improvvisazione e il durchkomponiert.
“Weeping Monolith” è una toccata elettronica, rapida come una corsa di macchine in un videogioco a 16 bit (sì, sto pensando a F-Zero). E arriviamo a “Nubachi (It Who Is Alive)”, forse il pezzo più significativo dell'album. È interamente costruito con armonizzazioni di voce elettronica, senz'altro intorno. In un'intervista, Gelbart dichiara di essersi ispirato a delle polifonie barocche: il “Miserere” di Gregorio Allegri e il “Crucifixus a 8” di Antonio Lotti, dove “a 8” sta per “8 voci”. Questo brano è una polifonia in cui perdersi tra momenti solisti, contrappunti e accordi interamente costituiti da voci che ripetono “Nubachi”.
Altro pezzo curioso è “Time (And Yet I Say)”, sorretto da un lento arpeggio dal suono cangiante, sul quale il vocaloide gioca sulla parola “Time”, esacerbando il senso di straniamento. A un certo punto partono suoni di batteria che tengono un tempo in 9/8, che dà un senso di instabilità costante. È facile immaginare paesaggi futuristici tra case domotiche, viali con alberi perfettamente geometrici e androidi senzienti a passeggio.
“Statuesque” prevede l'utilizzo del clavicembalo in quella maniera riconoscibile come “morriconiana”, che dialoga con gli arpeggi sintetici su armonie a volte diminuite, e progressioni, fino a sfumare in un finale affascinante. La voce artificiale riparte nel brano successivo, ripetendo il titolo come un mantra: “I Wish To Be A Road”, accompagnato dal clavicembalo e da armonizzazioni di sax e clarinetto basso. Frase che fa pensare. In che senso uno vorrebbe desiderare di essere una strada? Nel senso che vorrebbe letteralmente diventare asfalto per accompagnare il traffico? O nel senso che in futuro mi piacerebbe avere una via col mio nome? Mentre fanno capolino questi dubbi, arrivano anche gli archi e i fiati ad arricchire l'orchestrazione.
Chiude l'album “Deffir (Ascension)”, con una drum machine che dà il ritmo all'ultimo dialogo tra voce robotica (stavolta un duetto di voci) e sintetizzatori. Gelbart ci propone un universo musicale dove l'automa è già in simbiosi con l'elemento umano, in equilibrio tra cibernetica e carne viva, ma dove non sparisce mai il controllo dell'uomo sulla macchina... evitando la ribellione dei robot! (Gilberto Ongaro)