FRANCO BATTIATO  "Caffè de la paix"
   (1993 )

Il popolo degli Abbattiati temeva che le ultime anse della carriera del Maestro fossero ormai ineluttabili, con l’abbandono definitivo della musica, diciamo, da 4 minuti a pezzo e via, qualunque essa fosse.

C’era stata un’opera, “Gilgamesh”, a farne da prova. Poi, da un giardino pensile di Babilonia, saltò fuori questo nuovo disco, con gran gioia di tutti.

Corto, attorno alla mezz'ora: era sempre stato così, per lui, ma ormai dominava il CD, e tanti abusavano dei nuovi spazi. Lui sembrava avaro, ma rispose con un “Non si misura l’arte dalla quantità, anche la Gioconda è grande come un francobollo”.

A posteriori, questo disco è fondamentale: ci sono i soliti argomenti amati dal Nostro, tra mitologia, pezzi in arabo, cartaginesi, re di Atlantide, latini ed antichi egizi. Con piccoli gioielli come la stessa “Atlantide” o “Delenda Carthago”, oltre all’ennesimo atto di elevazione suprema, “Sia lode all’inviolato”.

Ma c’era anche qualche concessione ritmica in più rispetto al Cammello di due anni prima, che rendeva l’ascolto meno astruso anche ai non appassionati del genere. E allora, direte, dove sta la storicità? Perché questo è l’ultimo lavoro di Battiato da single: già a partire dal successivo “L’ombrello e la macchina da cucire”, infatti, sarebbe avvenuto l’abbraccio con Manlio Sgalambro; si sarebbe passati dai minareti a Hegel, e non tutti avrebbero apprezzato.

Un buon motivo per tenersi questo piccolo album dell’autunno 1993 sempre sotto il cuscino. (Enrico Faggiano)