ESSEFORTE "Crepa nel buco"
(2025 )
Esseforte è un curioso progetto che mescola rap, noise rock ed elettronica sperimentale. Le barre di Boso incontrano suoni di chitarra elettrica, sintetizzatori e bassi distorti. Uscito per Peyote, “Crepa nel buco” è un'esperienza disturbante e intrigante.
Il rapper inizia con qualche cliché per fare brutto (“Ho un mitra di parole da imbracciare”), ma è solo il punto di partenza: ben presto le parole diventano una spigolosa introspezione psicologica, che emerge nella titletrack dove il protagonista scava un buco e ci entra. Questo buco è scevro da doppi sensi volgari, a me ha fatto venire in mente quel film horror sociologico, chiamato “Il buco”, che vi consiglio, se avete stomaci forti. Boso nel buco non sta tranquillo: “Sento il freddo dei guai / belladonna in un bicchiere di Sprite”.
Su “Tic Toc” colpisce la sua voce, che inizia a rappare urlando come nei migliori Beastie Boys! E accanto, quello che in maniera riduttiva potremmo chiamare “flow”, in realtà è un vero e proprio arrangiamento elettrorock che mescola strumenti analogici e sintetici. Uno sguardo all'aldilà in “Dopo di me” viene accompagnato da un assolo alle sei corde e da algidi suoni elettronici che non sentivo dai tempi di Battiato in “Apparenza e realtà”. E qui lo spaesamento è totale: “Credevo di essere un pianeta, sono un satellite senza meta”.
Altra sorpresa “Giorno buono”, che dopo un'introduzione synth quasi – etnica, partono i bass drop e una sonorità lenta ed aggressiva: “L'ispirazione si scopa il dolore come fosse l'ultima volta (…) spacco il manico al piccone (…)”. Le sonorità sono davvero mescolate in modo originale. I suoni rarefatti di “Ferro Pieno” incontrano un basso elettrico e altre riflessioni non tranquillizzanti: “Tra il bianco e il nero il grigio è scomodo (…) non ci tradirà il dolore, sarà più severo con l'età, quella violenza che ci salverà”.
Verso la fine la chitarra accende la distorsione, ma i suoni elettronici virano in una tonalità maggiore, inaspettata per il clima creato dalla canzone fino a quel momento. “Tarlo” insiste a scendere nel buco: “Se scavo non so più fermarmi, non cambio non lo farò mai”, e poi arriva una fase techno. “Solitude” chiude il disco con dei suoni che sembrano presi in prestito da Peter Gabriel, tra reverse e suoni di pianoforte elaborati. È davvero un disco molto interessante, da ascoltare più volte per snocciolare ed apprezzare tutti i suoni, mentre l'introspezione rap guida il mood in maniera credibile e seria. (Gilberto Ongaro)