ALEX CARPANI  "The good man"
   (2025 )

Per capire chi è Alex Carpani, sempre che già non lo si conosca, bisogna parlare di un artista che ha all’attivo decine di album: il primo risale al 1990 dal titolo ''Polychromie''.

Una formazione musicale lunga come la lista della spesa e una serie di esperienze a livello mondiale fatte di concerti e collaborazioni con artisti del calibro di Jon Davison degli Yes, David Jackson dei Van der Graaf Generator, David Cross dei King Crimson, Theo Travis dei Soft Machine, fino ad arrivare agli italiani Aldo Tagliapietra delle Orme e Bernardo Lanzetti, voce degli Acqua Fragile e PFM.

Bene. Se a tutto questo aggiungiamo un quartetto di musicisti come il batterista Bruno Farinelli, Giambattista Giorgi al basso, Emiliano Fantuzzi alla chitarra, Alessio Alberghini sax soprano, più Valentina Vanini voce mezzosoprano, stiamo per assistere alla creazione di un’opera decisamente importante: “The good man”.

Un autentico disco prog dove Carpani, mettendoci la voce e una quantità esorbitante di vst (Virtual Studio Technology, sorgenti sonore in soldoni), dà sfoggio a tutta una moltitudine di stili musicali a lui già ben noti.

L’album si divide in due suites: ''Amnesiac'' e ''Good and evil'', proposte all’ascolto prima in due tracce uniche e poi in 18 parti.

Suite prima. Parte 1. “On a train”: suoni cupi e nebbiosi lasciano sentire l’arrivo di un treno in lontananza, il convoglio arriva e l’ascoltatore sale, inizia il viaggio. Parte due. L’atmosfera cambia e si presenta subito con una ritmica di 5/8 + 6/8, interessante ma che destabilizza, l’approccio è troppo, Carpani tranquillizza subito con il ritornello in un 5/8 che dà respiro. Parte tre. Parentesi riflessiva.

Parte 4. Arrivano le tastiere, quelle vintage, minimoog e hammond che incominciano i fraseggi col sax dando una qualità all’esecuzione decisamente importante. Parte 5. Una ballad, per quanto il progressive possa concepire una ballad. Parte 6. Qua il livello sale ulteriormente, sia per intensità che per qualità che per creatività: magnifiche orchestrazioni con vocalizzi che sanno di grandi film. Grandissima traccia che ispira e inspira. Parte 7. Brano che sfuma dal precedente, poi ritmiche più sostenute: tornano il triumviro moog, sax e hammond e il ritornello del primo pezzo.

Parte 8. Un ingresso con percussioni delicate, fraseggi di voce e sax, meraviglioso assolo di chitarra. Armonie sempre diverse: chapeau. Parte 9. La musica sembra aver perso la sua rabbia. Che bel viaggio fino a ora! Ma il treno torna e si ferma: suite conclusa.

Suite seconda. Parte prima. La musica cerca di risintonizzarsi e ci riesce. Parte 2. Riparte tutto con ritmica sostenuta ma non troppo e i protagonisti tornano: il moog e il sax continuano a discutere sul brano. Parte 3. Voce e orchestrazioni magistrali, sonorità epiche e poi di nuovo il ritmo incalzante. Parte 4. Momento di enorme respiro, quasi l'autore si fosse accorto che l'ascoltatore ne avesse bisogno. Due minuti e trenta di luce. Parte 5. La ripartenza non si fa aspettare con arrangiamenti al pieno e ritmica sempre in linea con il resto dell’album.

Parte 6. Partenza con un estratto dal discorso di insediamento di Papa Giovanni Paolo II e subito dopo compare un organo classico, che però poi si fa travolgere dal resto della band. La voce del mezzosoprano torna e mette tutto a posto: l'ordine torna e con esso un attimo di calma. Parte 7. Torna il pieno stile progressive e torna il tema di “The flow” leggermente più veloce.

Parte 8. Brano che sta nel mezzo tra la fusion e una colonna sonora. Di difficile identificazione. Parte 9. Traducendo testualmente dall’inglese il titolo della parte “Tutto va a posto”. La suite seconda, tra un effetto e voci in lontananza si chiuse. Opera finita. (Andrea Allegra)