VEUVE "Pole"
(2025 )
Uscito per la Go Down Records, ecco il nuovo album dei Veuve, “Pole”. La band di Pordenone ci porta virtualmente nel Minnesota, aprendo l'LP con “Land of Denial”, ispirata al personaggio V.M. Varga, della serie Fargo. Si tratta di sette minuti e mezzo di suoni distorti e secchi, come da tradizione stoner. L'elemento psichedelico spicca con maggiore determinazione, laddove altre band affini sono più concentrate sulla durezza del suono, che comunque non manca neanche qui.
“The Thaw” significa disgelo, ed è il secondo brano, il singolo corredato da un videoclip ambientato in un bosco, dove tra il basso Rickenbacker e l'assolo di synth alla fine, che ricorda vagamente un noto pezzo della PFM (ma solo per la sequenza degli accordi), la visione alterna immagini della band con elementi arrugginiti dello scenario: ruote di carrelli, strutture di altalene, ferro abbandonato... un buon accompagnamento visivo per immergerci nell'estetica della band.
“Quest For Fire” è un trascinante viaggio a BPM lenti, che alterna fasi pesanti e distorte a fasi arpeggiate con chitarra pulita. La seconda volta che capita, questi arpeggi puliti vengono suonati con un legato particolarmente morbido, che ne cambia il timbro. La voce canta drammatica, non so se il titolo sia ispirato all'omonimo film dell'81, che in italiano diventa “La guerra del fuoco”, ma il testo finisce con una citazione biblica: “Entrust your life in the hands of God”. In ogni caso è un brano di quasi 12 minuti che non ti lascia distrarre, ti porta via.
L'esplorazione interiore continua tra i suoni abrasivi di “Inner Desert”, altro pezzo di 12 minuti. Il deserto è un topoi ricorrente nello stoner, che in alcune declinazioni è chiamato anche desert rock. Dopo altre deflagrazioni elettriche, a metà brano un vento accompagna il basso solista in cupe vampe (ops), in cupe note, e il trio ricostruisce un graduale crescendo.
Il basso è ancora protagonista nella parte introduttiva atmosferica di “The Sudden Light”, che in 5/4 costruisce assieme a chitarra e batteria una tensione d'attesa degna dei Goblin. Poi la distorsione si accende, passando in 4/4, e la voce continua a raccontare il suo sguardo nell'imperscrutabile: “Tomorrow's just too far to understand”. L'assolo di chitarra elettrica verso la fine ricorre alla scala blues che non guasta mai.
Infine il disco si chiude con “Thrive on Empty Temples”, che era virtualmente la seconda parte del brano precedente, per costituire una suite; poi la band ha deciso di separarlo in due tracce da 12 e 8 minuti, ma si sente la coerenza interna, così come la coerenza granitica di tutto l'album. Un disco tra ghiaccio e deserto che garantisce emozioni adrenaliniche. (Gilberto Ongaro)