I RAGAZZI DEL MASSACRO  "Babylon club"
   (2024 )

Mi sono guardato questo film del 1969, tratto dall'omonimo romanzo, incuriosito dal nome che la band si è scelta: “I Ragazzi del Massacro”. Non entro nei dettagli della storia, però mi ha fatto riflettere sulle notizie di oggi.

Si parla tanto delle nuove generazioni così violente “per colpa dei social”, così com'era per colpa dei videogiochi vent'anni fa, così com'era colpa della televisione trent'anni fa, e così via. Ma le facce di quei personaggi (che bravi attori, tra l'altro) assomigliano tanto ai maranza di oggi, così come ai figli di famiglie per bene che però scelgono strade sbagliate. Nulla di nuovo sotto il sole, insomma, solo la solita stampa scandalistica asservita alle agende politiche, e la mancanza di volontà di affrontare i veri disagi sociali.

Non ho ben capito la scelta di questo nome così impegnativo, per usare un eufemismo. Forse per “fare brutto”, ma mica fanno trap ahah... Musicalmente siamo in zona post-punk di fine anni '70, con quei riff melodici di chitarra su note ostinate, così tanto ricorrenti in Joy Division, Killing Joke ecc.

Questo ci dà un indizio estetico che si riscontra anche nei testi, scuri come la musica: “I used to kill my dreams”, cantano in “The brave”, mentre in “Black dog” si dichiara: “Ambition is always wrong”. Probabilmente non c'entra l'istigazione a delinquere: semplicemente, la band cita un poliziesco disincantato, come i loro racconti disillusi.

L'album è aperto da “Noise inside my mind”, brano dalla velocità moderata, solenne come una messa funebre. La titletrack invece accelera i battiti, per raccontare una confessione, come dalla polizia. Indicativo il titolo “The day of pigs”, mentre “Underground” sembra quasi avere delle reminiscenze dei Devo, ma senza l'elemento buffo e schizoide: solo con la stessa agitazione, tinta di nero e di tonalità minore.

“Faster than light” continua a correre, con un bel basso da sottolineare, e l'album finisce con la chitarra acustica accanto all'elettrica con tremolo di “Where is my town?”, canzone dall'interpretazione vocale emozionante, che si distacca dal resto dell'album. Questo disco rientra nel post-punk revival, tra citazioni letterarie e atmosfere plumbee. Visti i tempi, potrebbe rappresentare dei sentimenti condivisi di oppressione di nuovo attuali, anche se su coordinate sonore âgée. (Gilberto Ongaro)