ALAN+  "S.a.l.i.g.i.a. (le 7 vie del vizio)"
   (2024 )

A tre anni e mezzo dall’adorabile rebus di “Anamorfosi”, sfoggio di oscura arte varia, tra nevrosi assortite e spunti mai banali, “S.A.L.I.G.I.A. (le 7 vie del vizio)” vede il ritorno della sigla Alan+, coppia formata da Tony Vivona (Le Jardin des Bruits) e Alessandro Casini (Deadburger Factory e ancora Le Jardin des Bruits), sontuosi mestieranti di lungo corso dediti all’esplorazione del lato buio della faccenda.

Nato nella sua forma embrionale come sonorizzazione di brevi pièce teatrali, l’album è un concept muto che, alla maniera de “L’ultimo re” dei Ronin, costruisce per idee, affidando la narrazione a nove tracce evocative e suggestive, un viaggio al termine della notte tra atmosfere fosche e passaggi inquieti: “Intro” e “Outro” sono divise da sette episodi che descrivono i vizi capitali, dipingendo scenari inquieti e vividi per il solo tramite delle tessiture sonore adottate.

I brani - tutti strumentali, brevi, incisivi - definiscono un progetto sfaccettato, articolato, stratificato, del quale la parte strettamente musicale è solo una componente; l’aspetto testuale è affidato alla penna di sette scrittori, che per ciascun vizio hanno ideato un racconto ispirato dal relativo brano: il pacchetto completo – libro e cd – è pubblicato dalla giovane casa editrice fiorentina I Libri di Mompracem. A chiudere il cerchio e completare il percorso, elementi di visual art, danza e cinema ad animare i video di “Lussuria”, “Invidia” e “Superbia”, provvido connubio tra immagini e percorsi di musica sghemba.

“Intro” apre confusa, agitata da inserti rumoristici, disturbi di fondo, figure ondivaghe di pianoforte: l’anticamera del peccato, che spalanca le porte sul magma elettrico di “Superbia”, contrappuntata da una frase di chitarra semplice e memorabile, guida nel cammino tra quiete improvvisa e piccole increspature. Echi jazz permeano le movenze sinuose di “Avarizia”, tentazioni free impro e schegge noise scuotono il gorgo infido di “Ira”, un basso pulsante e carezzevole sul filo del dub si impadronisce della cadenza sorniona di “Gola”, appena screziata dagli aspri ricami della chitarra, mentre scivola via suadente “Accidia”, con la tromba di Raffaele Mei a dettarne il mood vagamente lascivo.

Sottolineata dagli archi, in cauda giunge la redenzione, tanto soave quanto effimera, di una “Outro” che invita a riveder le stelle, o forse soltanto a ricominciare da capo, rituffandosi nel gran teatro amaro della vita. Il circolo non è virtuoso, affatto. (Manuel Maverna)