ROMAN KRAYS  "Quanto costa sognare"
   (2024 )

Il punk italiano mi fa uno strano effetto: mentre picchia e martella, riesce spesso a strapparmi una lacrimuccia. Cioè, mi commuovo ascoltando certe canzoni di Tommi Marson, ad esempio.

Sarà una determinata progressione degli accordi con qualche minore piazzato al posto giusto, sarà il ritmo dritto che si porta a spasso le canzoni, saranno forse – questo sì – alcuni testi dall’anima triste, ché non sempre occorre ad ogni costo replicare la bruciante iconoclastia dei Dead Kennedys: in Italia, restiamo dei romanticoni, e va bene prendersela con lo stato sociale e col destino cinico e baro, ma un angolino di cuore lo lasciamo ben volentieri agli affetti, ai ricordi, ai sogni infranti.

Ecco: sono questi – tra gli altri – alcuni degli atout che il quartetto sardo Roman Krays si gioca in “Quanto Costa Sognare”, esordio lungo su etichetta Rockerstage/Cattive Maniere Records. Frenetico e compatto, con piglio battagliero porta a galla sentimenti contrastanti, che confluiscono in otto brani e ventisei minuti tesi, sinceri e urgenti. Ci mettono sì rabbia e risentimento, ma sanno anche regalare ruvide carezze e riflessioni amare, concedendo spazio a rancorosa invettiva ed aspra disillusione (“Scappa”, “No future”, “Pugni In Faccia”, “Senza Respiro”), come a condivisibili battaglie di triste attualità (“Nicol”, a proposito di violenza di genere).

Menano fendenti con tutta la cieca convinzione che il progetto esige, ma intravedono anche il lato fragile della piccola umanità che ci accomuna: “West Coast”, “Quanto Costa Sognare” e la conclusiva “80” si spingono oltre il tempo e l’astio, la fatica ed il dolore, richiamando speranze e nostalgia canaglia, centrando tre chorus di rara efficacia, ciascuno dei quali rappresenta, a suo modo, un’esile via di fuga dal mal de vivre e dal suo inesorabile agguato quotidiano.

Ma questa qua è una vita che non tornerà/a suonare il campanello/scappa ragazzo, non ti girar/non ti girare mai.

Bridge, solo di chitarra, reprise del ritornello. Lacrimuccia. (Manuel Maverna)