PONI BOI  "Poni Boi"
   (2024 )

Anche le cose semplici bisogna farle bene, anzi: soprattutto le cose semplici.

Musicalmente, punk & affini sono semplici, con qualche eccezione, tipo i Dead Kennedys e i Vintage Violence, per fare due esempi lontani anni luce tra loro. Chez nous, dalle Pornoriviste ai Razzi Totali, per citarne solo altri due tra molti, abbiamo parecchi validi alfieri del genere, che funziona sempre a meraviglia a patto di interpretarlo con fedeltà alla linea, magari aggiungendo un quid di personale, di peculiare, di singolare, un tratto caratteristico a distinguerti dalla massa.

Degnissimi rappresentanti di questo milieu, oramai – ahimè - in controtendenza rispetto alle mode imperanti, sono i Poni Boi, quartetto marchigiano all’esordio per Rocketman Records/Arrosti Records/Gotta Gallo Records con le undici tracce di un vivacissimo debutto, venticinque minuti di velocità e urgenza, fucina di idee disseminate ad arte in testi che costituiscono il vero atout di un lavoro frenetico ed intelligente.

Tra echi del surf d’antan che fu (“Bam Bam”) ed accelerazioni come mitragliate (“Casa tua o casa sua”), Andrea Marcellini, Luca Detto Bisto Boscolo, Matteo Benocci e Luca Regini imbastiscono un album che accoppia molta irruenza e poco divertissement, riflessione sottotraccia e filosofia affatto spicciola (“Subire il Celodurismo”), nostalgia canaglia (“Non siamo MJ”) e futuro incerto (“M.D.M.”); lo fanno con una veemenza mai violenta, a tratti naif, pulita e schietta nell’anima ma rumorosa nei modi, che sono modi spicci e non volgari, diretti e frontali, sinceri e trasparenti.

Tra attacchi à la Ramones (“Sabato 13”) e ganci terribilmente catchy (“Boiler nell’armadio”), azzeccano alcuni chorus memorabili che sanno di bubblegum pop sparato a mille all’ora (“Doppia XL Fit Regolare”), flirtano con suggestioni emo in zona Cosmetic (“Fame d’aria”), non abbassano mai i giri né perdono ispirazione, compattezza, interesse, conservando intatto un velo di malinconia, come se qualcosa di ciò che hanno vissuto e che raccontano con foga incalzante fosse andato perso o fosse andato storto.

Quante volte ci siamo chiesti “Che ne sarà di noi?”/O più diretti e in prima persona “Chi sono e dove andrò?”/Basta, ti prego, fammi essere leggero...

Niente di grave, eh? Ma forse, laggiù in fondo tra i ricordi e là davanti tra le aspettative, non c’è molto da stare allegri. (Manuel Maverna)