LILAC DREAM DUO "Searching for nothing"
(2024 )
Tutte le potenzialità del jazz vengono esplorate dal Lilac Dream Duo in Searching for Nothing. La minimale formazione riesce a creare un arcobaleno di suoni e di immagini sperimentando percorsi musicali mai banali e spaziando tra diversi linguaggi. Il pianoforte di Martino Corso e la voce di Silvia Remaggi danno vita a un disco polifonico, coraggioso e appassionante.
In Searching for Nothing, raccontando di perdersi, trovarsi e ripartire, Martino Corso e Silvia Remaggi non abbandonano per un attimo il sentiero che hanno deciso di intraprendere come Lilac Dream Duo. Convinti, concentrati e perfettamente integrati tra loro, partono dalle basi del jazz, da un suo studio serrato, approfondito, metodico, per provare a esplorare in un lungo e in largo molte delle sembianze che esso può assumere, metamorfiche e liquide come quelle che solo il jazz sa creare. Il risultato è brillante, a tratti quasi esaltante; suscita curiosità, interesse e mistero.
Nei quasi quaranta minuti di musica che Searching for Nothing offre, voce e piano sembrano muoversi in un’atmosfera dove lo spazio e il tempo si allungano e si accorciano in modo imprevedibile e incostante, stimolandosi e rincorrendosi reciprocamente in un “dai-e-vai” pungente e radioso. I primi passi dell’introduttiva “Breathe with Me”, un canto d’altri tempi che potrebbe uscire dalla penna di Benjamin Britten se fosse in vita oggi, conducono quasi senza soluzione di continuità al ritmo spezzato e malconcio della seducente “Oleander”, che detta la linea al disco, sempre che si possa trovare una linea continuativa e coerente – ce ne sono, in effetti, molteplici – in un progetto che ha piuttosto nella molteplicità e nel pastiche la sua forza più vitale e imponente.
Un brano come questo, dove la voce danza frammentaria e teatrale su una pioggia di note pianistiche a tratti classicheggianti e a tratti avanguardistiche, è una delle diapositive più lucide di Searching for Nothing nonché una delle testimonianze più sincere e riuscite della sua potenza. È difficile, però, trovare un brano, tra gli otto del disco, che non sia fondamentale per capirne la portata e le finalità. Si pensi alla leggiadria elegantissima di “Prayer”, nella quale il piano è il palcoscenico su cui la voce si muove, o alla lunga e sperimentale “Schizofrenia”, dove esperimenti vocali – serissimi e ironici al medesimo tempo – à la Cathy Berberian finiscono per incontrare sfumature dell’ultima Fiona Apple spostandosi di continuo tra classico, neoclassico e manierista, o ancora alla spiazzante e quasi poppeggiante chiusura di “mikA”, composizione baluginante e dall’andamento serrato dall’inizio alla fine. Tutto in Searching for Nothing funziona, anche gli episodi più coraggiosi e ambiziosi, grazie soprattutto all’intesa che corre tra i musicisti.
(Samuele Conficoni)